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CARATTERISTICHE E CONFIGURAZIONE DEI COSTI NEL SETTORE SANITARIO: UN MODELLO LOGICO DI ANALISI A SUPPORTO DELLE DECISIONI

 

Dr. Franco Ancona, economista  PricewaterhouseCoopers Italia

 

Premessa: i concetti di costo e di ricavo

La gestione di un’azienda, finalizzata alla produzione di beni o servizi, comporta il sostenimento di costi. La produzione è il processo in base al quale alcuni fattori produttivi vengono combinati e trasformati per ottenere un prodotto finale diverso dai fattori produttivi utilizzati. Il costo è il valore dei fattori produttivi impiegati nel processo di trasformazione.

Il concetto di produzione non comporta necessariamente una trasformazione in senso fisico di materiali (es: la lamiera che viene trasformata nella portiera di un’automobile) ma soltanto in senso economico (es. la pasta venduta al dettaglio nel negozio sotto casa anziché venduta all’ingrosso presso lo stabilimento di produzione, eventualmente localizzato a centinaia di chilometri dalla nostra abitazione). Esso inoltre può essere riferito indifferentemente alla produzione di beni (ad esempio automobili) o a quella di servizi (ad esempio: la produzione di uno spettacolo teatrale o l’erogazione di una prestazione sanitaria).

Generalmente, il valore dei beni o dei servizi che risultano da un processo produttivo è superiore alla somma dei valori dei fattori produttivi impiegati (e quindi consumati) per la sua realizzazione. Ciò comporta che un’organizzazione produttiva restituisce all’ambiente in cui è inserita beni o servizi di valore superiore a quelli assorbiti. In tal senso si dice che essa “crea ricchezza”.

Il valore della produzione realizzata e collocata nell’ambiente è espresso dai ricavi: questi ultimi possono essere aritmeticamente definiti quale prodotto del prezzo unitario per le quantità prodotte: px. Dove p è il prezzo e x è la quantità prodotta.

 

Per completezza è opportuno precisare che il prezzo non è un valore certo e immutabile. Esso varia in dipendenza di numerosi fattori di carattere oggettivo e soggettivo, quali ad esempio:

·           l’utilità che il destinatario del bene o del servizio attribuisce allo stesso, in un determinato luogo fisico, in un certo istante;

·           la scarsità o l’abbondanza di quel bene e la conseguente facilità o difficoltà di procurarselo; la condizione socio economica del soggetto interessato;

·           la sua scala di valori e quant’altro. Per i prodotti (siano essi beni o servizi) che vengono collocati sul mercato, il valore ad essi attribuito viene espresso dal prezzo di mercato.

Le tariffe dei servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale non si generano sul mercato attraverso il libero incontro della domanda e dell’offerta, ma vengono stabiliti dalle autorità pubbliche. Per questa ragione è corretto parlare, in questo caso, di “prezzi politici”.

 

Classificazione dei costi

I valori di costo possono essere analizzati avendo come oggetto di riferimento le seguenti quattro dimensioni:

 

·           l’esercizio oppure il periodo infrannuale di riferimento

·           il prodotto o la prestazione oggetto del processo di trasformazione economica dell’azienda

·           le singole unità organizzative dell’azienda medesima

·           le singole fasi dei processi (core e di supporto) identificabili all’interno della catena del valore aziendale.

 

Partendo da questo presupposto è possibile individuare diverse tipologie di costo a seconda

 

·           del grado di attribuibilità dei medesimi alle singole unità organizzative (costi specifici e costi comuni)

 

·           dalla possibilità di imputare direttamente i costi ai prodotti/prestazioni generati dal processo di trasformazione economica (costi diretti/costi indiretti)

 

·           dalla possibilità (in un’ottica di responsibility account) di controllo sui medesimi da parte del responsabile di un’unità organizzativa dell’azienda;

 

·           dalla variabilità dei medesimi in relazione ai volumi di produzione (costi fissi/costi variabili).

 

E’ importante sottolineare come quest’ultima classificazione assume significato solo se inquadrata in un orizzonte temporale circoscritto nel quale si assumono come definite, sia la tipologia dei processi di produzione posti in essere dall’azienda, sia la capacità produttiva (generatrice di costi fissi).

 

Costi specifici e costi comuni

Si definiscono specifici i costi immediatamente imputabili ad una data unità organizzativa aziendale, es: centro di costo, centro di responsabilità. Negli altri casi si parla di costi comuni. E’ da notare che la caratteristica di specifico o comune non è strettamente legata alla natura del costo ma alla possibilità concreta o alla convenienza pratica di imputazione a uno degli oggetti descritti. Nei sistemi di contabilità direzionale , si rinuncia talvolta a trattare come specifici alcuni costi pur tecnicamente attribuibili con precisione. Ciò avviene nei casi in cui la rilevazione specifica sarebbe eccessivamente onerosa rispetto ai benefici che produrrebbe. Si pensi al costo dell’energia elettrica. Questo è tecnicamente imputabile con precisione a ciascun reparto di degenza e perfino a ciascun ambulatorio. Sarebbe sufficiente installare un contatore in ogni locale. E’ tuttavia evidente che questa soluzione sarebbe generatrice di costi eccessivi rispetto ai benefici economici che una tale precisione potrebbe favorire.

 

Costi diretti e costi indiretti

Si definiscono costi diretti quelli direttamente imputabili all’oggetto dell’output del processo di produzione economica aziendale, es: ai singoli prodotti/prestazioni, o ad una determinata fase di un processo di produzione. Tutti gli altri costi che emergono dall’attività produttiva, ma non direttamente attribuibili ad uno degli oggetti indicati, si definiscono costi indiretti.

 

Costi controllabili e costi non controllabili

Questa definizione si riferisce alla possibilità che il responsabile di un’area aziendale sottoposta a budget (tecnicamente centro di responsabilità) possa realmente governare un costo imputato al suo centro. La discriminante non è di poco conto dal momento che, sulla base di questa, avrà senso o meno la responsabilizzazione del dirigente sul budget del proprio centro, con tutto quanto ne consegue, o dovrebbe conseguirne, in merito all’applicazione dei sistemi di rewarding.

 

Costi fissi e costi variabili

E’ forse la classificazione più rilevante ai fini dell’analisi economica orientata alle decisioni.

Si definiscono costi fissi quelli che non variano al variare della quantità di produzione.

Si pensi ad esempio ai costi per l’ammortamento dell’immobile che ospita un’azienda ospedaliera o allo stipendio di una caposala. Il loro ammontare prescinde dal numero di prestazioni effettuate mentre è strettamente correlato alla capacità produttiva dispiegata.

Graficamente i costi fissi sono rappresentabili con una retta parallela all’asse delle ascisse, che attraversa l’asse delle ordinate nel punto k: ordinata all’origine. Analiticamente si tratta di una retta del tipo y = k.  dove k rappresenta l’ammontare dei costi fissi. Si veda la figura 1.

 

 

Figura 1:  i costi fissi

 

 

 


La definizione di costo fisso, come accennato precedentemente, ha un significato solo se riferita ad un arco temporale definito e limitato: quello che gli economisti chiamano convenzionalmente breve termine. L’assunto è che nel breve termine la capacità produttiva rimanga costante. Al variare della capacità produttiva i costi fissi si spostano ad un differente livello, pur restando costanti al variare della produzione, (varia l’ordinata all’origine della retta).

 

 

Si definiscono costi variabili quelli che variano in modo strettamente proporzionale alla quantità di produzione. Il concetto è valido sia che ci si riferisca alla produzione di beni, sia che ci si riferisca alla produzione di servizi, ad es: prestazioni sanitarie.

Graficamente i costi variabili sono rappresentati con una retta che parte dall’origine degli assi e con un’inclinazione proporzionale al valore del costo variabile per unità di prodotto (o di prestazione).

Analiticamente si tratta di una retta del tipo y = vx. Dove v rappresenta i costi variabili unitari e costituisce il coefficiente angolare della retta. Si veda la figura 2.

 

 

 

Figura 2: i costi variabili


Le definizioni di costi fissi e di costi variabili forniscono evidentemente due casi “ideali” spesso non esattamente riscontrabili nella realtà. Per una serie di circostanze infatti, spesso i costi variabili unitari (altrimenti detti costi marginali) non sono esattamente costanti a prescindere dal grado di sfruttamento della capacità produttiva data. Lo stesso dicasi per i costi fissi.

Si tratta evidentemente di una rappresentazione semplificata della realtà. Ciò nondimeno, il “modello” proposto rappresenta, a parere di chi scrive, il miglior framework per le analisi economiche nel settore sanitario (e non solo in quello). Vediamo perché.

 

La struttura dei costi nelle aziende sanitarie

Le strutture erogatrici di prestazioni sanitarie, tipicamente le aziende ospedaliere, sono caratterizzate da una struttura dei costi fortemente orientata verso i costi fissi. La voce più rilevante è notoriamente il costo del lavoro. Si tratta di una caratteristica comune a gran parte delle aziende che producono servizi, anche in settori diversi da quello sanitario. Il costo del personale è trattato spesso, nella letteratura anglosassone, come un costo variabile. Si assume infatti che il numero di ore lavorate sia proporzionale alla quantità di prestazioni richieste. Questo non è quasi mai vero in Italia, dove i rapporti di lavoro sono spesso “rigidi”. E’ particolarmente falso in Sanità, dove il dimensionamento dell’organico deve essere idoneo a garantire la completa operatività delle diverse strutture: raparti di degenza, ambulatori, servizi, uffici amministrativi, etc.. Il costo del personale rappresenta, nelle aziende sanitarie, il 50% ca. di tutti i costi.

La seconda voce per rilevanza, tra i costi fissi, è certamente rappresentata dagli ammortamenti. L’ammontare di questa voce rappresenta, idealmente, il valore del deperimento economico annuale dei cespiti. I cespiti sono i beni strumentali all’attività dell’azienda, la cui vita utile ha normalmente una durata pluriennale. Tipicamente si tratta degli immobili e di quei beni che, in regime di contabilità finanziaria, venivano indicati come “beni mobili del patrimonio”: impianti, attrezzature sanitarie, automezzi, mobili e arredi, attrezzature informatiche, etc.. Il costo degli ammortamenti viene spesso trascurato dagli operatori a causa dello strano regime contabile al quale sono sottoposti. Si tratta della cd. “sterilizzazione”. In base a questa tecnica, introdotta nelle aziende del Servizio sanitario nazionale su indicazione del ministero del tesoro, il conto economico deve accogliere, tra i ricavi, un importo pari all’ammontare degli ammortamenti relativi ai beni acquisiti grazie a specifici contributi in conto capitale. L’effetto è che gli ammortamenti di questi beni, che rappresentano la quasi totalità dei cespiti in dotazione alle aziende, non esercitano alcun impatto sul risultato d’esercizio. Tale circostanza ha di fatto reso meno visibile, agli occhi meno esperti, il peso degli ammortamenti sulla struttura dei costi aziendali.

Ma le dotazioni di beni strumentali comportano il sostenimento di ulteriori costi, anch’essi in massima parte fissi, diversi dagli ammortamenti. Si pensi alle manutenzioni ordinarie, al costo per il riscaldamento/condizionamento dei locali, alle spese di pulizia, disinfezione, derattizzazione etc. Tra i costi fissi possono inoltre essere annoverati tutti i canoni per le utenze e gran parte dei consumi stessi. Si pensi al costo dell’illuminazione, all’uso del telefono che è in gran parte slegato dal numero di casi trattati e così via. Chi ha l’occasione di imbattersi nel bilancio di qualche azienda sanitaria, sa che questi costi rappresentano ca. l’80% dell’intera struttura dei costi aziendale .

I costi variabili, direttamente legati al numero di prestazioni erogate, possono essere identificati essenzialmente nei farmaci, nei presidi sanitari, nelle protesi, negli alimentari, nei costi per il lavaggio della biancheria e in poche altre voci. Il peso di questi costi può variare a seconda delle caratteristiche dell’azienda alla quale ci si riferisce ma, mediamente, non supera il 20% dei costi totali.

 

Riprendendo le rappresentazioni grafiche precedenti, possiamo definire i costi complessivi quale sommatoria delle due rette rispettivamente dei costi fissi e dei costi variabili. La risultante sarà una retta parallela a quella dei costi variabili (perché ha lo stesso coefficiente angolare), che parte dal punto (0,k).

Analiticamente si tratta di una retta del tipo y = k + vx. Si veda la figura 3.

 

Figura 3: i costi totali

 

Sulla scorta di questo semplice modello di riferimento testé illustrato, si può ora provare ad imbattersi in alcune delle analisi economiche più tipiche e ricorrenti, finalizzate all’adozione di importanti decisioni gestionali. Ci si riferisce in particolare a problemi del tipo:

·           valutazione di congruità delle tariffe di determinate prestazioni;

·           analisi del punto di pareggio (break even analisys);

·           ricerca dell’equilibrio economico complessivo a livello aziendale e a livello di sistema sanitario regionale.

 

Valutazione di congruità delle tariffe di determinate prestazioni

Non è infrequente, per chi opera in sanità, imbattersi in considerazioni tese a valutare la congruità o meno delle tariffe applicate a determinate prestazioni. Molti operatori dubitano che le tariffe riconosciute siano sufficienti a compensare le aziende sanitarie dei costi sostenuti per produrre determinate prestazioni. Implicitamente la domanda è: “Dal punto di vista strettamente economico, conviene a quest’azienda erogare la tale prestazione?”. Per giudicare la convenienza economica  a realizzare una determinata prestazione, dato un certo prezzo di vendita (assicurato dalla tariffa), è necessario conoscere il costo di produzione.

Il costo di produzione può essere determinato sulla base di una delle seguenti configurazioni:

·           il costo pieno (o full cost);

·           il costo standard;

·           il costo diretto;

·           il costo marginale.

 

Vengono di seguito illustrate le diverse configurazioni valutando, per ciascuna di esse, quelle che appaiono, a parere di chi scrive, i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna di esse.

 

Il costo pieno

E’ apparentemente la configurazione più oggettiva, in quanto tiene conto di tutti i costi effettivamente sostenuti. La sua misura può essere ottenuta rapportando i costi complessivi al numero di prestazioni effettivamente realizzate. Si tratta pertanto del costo unitario medio.

 

Vantaggi:

-           Quando le prestazioni erogate dalla struttura oggetto dell’indagine sono sufficientemente omogenee, la sua determinazione è relativamente semplice.

 

Svantaggi:

-           La determinazione della quota di costi comuni e di costi generali di competenza di ciascuna area aziendale omogenea non è mai agevole. In ogni caso non esistono criteri oggettivi per effettuarla.

-           Il costo medio unitario è pesantemente condizionato dal numero di prestazioni effettuate.

 

Si veda il grafico in figura 4. E’ evidente che, a seconda che la struttura produca una quantità di prestazioni pari a x1 o a x2, il costo medio sara più o meno elevato: Cx1 nel primo caso e Cx2 nel secondo.

 

Figura 4: Il costo unitario medio

 


Analiticamente, Cx = CT/x = k/x + v.

Dove: Cx è il costo unitario medio in corrispondenza della generica quantità prodotta x; CT sono i costi totali.

Ciò significa che, a parità di costi fissi, il costo medio unitario è tanto più basso quanto più elevata è la quantità prodotta. La conclusione è perfettamente compatibile col buon senso comune: quanto più elevato è il grado di utilizzo della capacità produttiva, a parità di costi fissi, tanto più basso è il costo medio unitario della prestazione.

Resta tuttavia il dubbio: ”Qual’è il giusto valore a cui far riferimento per rispondere al quesito iniziale?”

Per rispondere si può tentare un’altra via: quella del costo standard di produzione.

 

Il costo standard

Per la determinazione del costo standard si può far ricorso alla tecnica dell’”activity based costing”. Si tratta di una metodologia contabile che studia il processo di produzione della prestazione, lo scompone in una serie di attività semplici, calcola il costo di ciascuna attività e determina il costo complessivo come sommatoria dei costi delle singole attività .

 

Vantaggi:

-           Il costo così determinato non risente delle condizioni di maggiore o minore efficienza presenti nella struttura.

 

Svantaggi:

-           Fa riferimento a condizioni operative ideali, spesso non presenti in azienda.

-           Si tratta di una metodologia piuttosto laboriosa in quanto, prima di procedere alla valutazione, è necessario analizzare il processo di produzione, reingegnerizzarlo secondo criteri di massima efficienza (evidentemente salvaguardandone o potenziandone l’efficacia), quindi procedere al calcolo del costo.

-           Il costo complessivo della struttura di riferimento è normalmente più elevato della sommatoria dei costi standard delle prestazioni effettuate. La differenza va attribuita a inefficienza.

 

Il costo diretto

Considera i costi direttamente imputabili alla prestazione( esempio: costo del lavoro diretto; ammortamenti diretti, consumi di materiale direttamente imputabili alla prestazione), a prescindere dal fatto che il loro ammontare sia più o meno influenzato dalla quantità di prestazioni effettuate.

Da non confondere con la definizione anglosassone di “direct cost” che si traduce, correttamente, con “costo variabile”.

 

Vantaggi:

-           La sua determinazione è relativamente semplice.

 

Svantaggi:

-           E’ una misura parziale, scarsamente utilizzabile ai fini decisionali.

 

 

Il costo marginale

Data una determinata capacità produttiva presente, rileva semplicemente i “costi differenziali” generati dalla produzione di una unità di prestazione in più (o unità marginale). Entro i limiti della capacità produttiva presente questa misura coincide con il costo variabile unitario. La differenza tra il ricavo marginale ottenibile con la vendita di una unità di prestazione in più e il costo marginale della stessa, viene definita “margine di contribuzione unitario”.

 

Vantaggi:

La sua determinazione è semplice e oggettiva.

E’ uno strumento molto utile per l’analisi differenziale.

La sua conoscenza è di supporto a una grande quantità di decisioni.

 

Svantaggi:

E’ una misura parziale del costo.

 

Nella produzione delle prestazioni sanitarie i costi variabili sono normalmente una quota molto bassa dei costi complessivi. Il margine di contribuzione è pertanto generalmente positivo e piuttosto elevato.

Ne consegue che il dubbio sulla congruità o meno delle tariffe riconosciute per le prestazioni è spesso privo di significato, per le seguenti ragioni:

-           quasi sempre il margine di contribuzione c’è ed è elevato. Esso è in grado di contribuire positivamente al risultato d’esercizio;

-           l’equilibrio economico complessivo dell’azienda che eroga prestazioni dipende prevalentemente dal corretto dimensionamento della capacità produttiva, generatrice di costi fissi.

 

 

Analisi del punto di pareggio

La ricerca del punto di pareggio (o break-even analisys) può essere definita come lo strumento che permette ad un’azienda  di determinare il livello di attività/produzione che garantisce la copertura dei costi totali e quindi l’equilibrio economico della gestione.

 

Graficamente si giunge a questo risultato identificando l’intersezione della retta dei costi totali e di quella dei ricavi.   

 

Analiticamente si giunge allo stesso risultato imponendo che i ricavi siano uguali ai costi. Dal momento che

 

C  =  k  +  vx   e  R  = px, sarà sufficiente imporre C = R, cioè

 

px = k + vx

 

k = px –vx

 

x = k/(p-v)

 

 (p – v) si definisce margine di contribuzione.

 

Conclusione

Il pareggio si ottiene per una quantità di produzione in corrispondenza della quale la sommatoria dei margini di contribuzione eguaglia i costi fissi.

Al di sotto di tale quantità l’azienda è in perdita. Oltre tale quantità si entra nella cd. area dell’utile.

  

La ricerca dell’equilibrio economico complessivo a livello aziendale e a livello di sistema sanitario regionale

Come noto, la maggior parte delle aziende del servizio del SSN operano in condizioni economiche di squilibrio strutturale. Ciò porta ad accumulare perdite d’esercizio che, nel volgere di alcuni anni, potrebbe erodere completamente il patrimonio netto aziendale compromettendone, nei fatti, la capacità operativa. Tale condizione preoccupa non poco sia il management aziendale, sia le amministrazioni regionali. Queste ultime infatti potrebbero ben presto essere chiamate a ripianare le perdite pregresse e a farsi garanti verso i fornitori della crescente mole di indebitamento che le aziende stanno accumulando. Per coprire l’enorme fabbisogno finanziario le regioni saranno portate a contrarre prestiti, sotto forma di mutui o tramite l’emissione di titoli di credito a reddito fisso. In alternativa (o in aggiunta, se necessario), potrebbero essere indotte ad appesantire la pressione fiscale in ambito regionale.

Ma esistono rimedi per evitare, o quanto meno limitare, le perdite strutturali delle aziende sanitarie?

Per rispondere a questa domanda è opportuno partire dalla struttura dei costi e dei ricavi tipica della maggior parte delle aziende ospedaliere .

Questa è chiaramente sintetizzata in figura 6. La retta dei costi ha l’ordinata all’origine pari a k. Infatti, per quantità di prestazioni erogate pari a zero, i costi complessivi sono pari ai costi fissi. L’inclinazione della retta è direttamente proporzionale all’incidenza dei costi variabili unitari.

La retta dei ricavi parte dall’origine degli assi ed ha un’inclinazione direttamente proporzionale alla tariffa unitaria .

 
Figura 5: Struttura dei costi e dei ricavi tipica di una azienda ospedaliera.

 

 


Il pareggio economico si ottiene, com’è ormai noto, per la quantità di produzione in corrispondenza della quale la retta dei ricavi interseca quella dei costi. La soluzione più banale appare quindi l’incremento del numero di prestazioni.

Tale soluzione si scontra tuttavia con gli interessi più generali del sistema sanitario per i seguenti motivi:

1.         si potrebbe essere tentati di erogare prestazioni non strettamente necessarie (i ricoveri impropri ne sono un esempio);

2.         un incremento incontrollato della quantità di prestazioni erogate, e in particolare dei ricoveri, se da un lato migliorerebbe i conti delle aziende ospedaliere, dall’altro sarebbe in grado di far saltare i conti economici delle aziende sanitarie locali, che devono sobbarcarsi l’onere delle prestazioni;

3.         l’equilibrio complessivo del sistema, a livello regionale, ne risulterebbe compromesso.

 

Per ovviare a tale inconveniente, in ciascuna regione sono normalmente assegnati dei tetti di prestazioni alle diverse strutture di erogazione, oltre i quali la tariffa riconosciuta viene pesantemente abbattuta o addirittura annullata.

 

La soluzione va quindi ricercata nel contenimento dei costi.

 

Il contenimento dei costi è stato soprattutto mirato, fino ad oggi, sui costi variabili. Lo si è perseguito attraverso un uso più attento dei materiali di consumo, attraverso una maggiore attenzione al rapporto qualità prezzo, perseguita mediante un più massiccio ricorso alle gare e mediante iniziative collaterali quali osservatori dei prezzi e simili. Il contenimento dei costi variabili, come risulta ormai chiaro, ha l’effetto di ridurre l’inclinazione della retta dei costi, facilitando evidentemente l’incontro con la retta dei ricavi. Tuttavia, data l’esiguità dei costi variabili rispetto al totale, questi interventi non hanno quasi mai portato risultati soddisfacenti.

Fatta salva la validità di quanto fatto finora, la soluzione va quindi ricercata in un deciso contenimento dei costi fissi. Questa è ottenibile attraverso una corretta ridefinizione della capacità produttiva. Troppo spesso la capacità produttiva dispiegata dalle aziende è palesemente eccessiva rispetto ai fabbisogni. Questa misura comporterebbe un sensibile abbassamento dell’ordinata all’origine, consentendo alle due rette di incrociarsi all’interno di un ideale “campo di esistenza” definito entro i limiti dei tetti di prestazioni. Si veda la retta dei costi tratteggiata.

Ri-definizione della capacità produttiva non può e non deve significare taglio indiscriminato delle strutture di erogazione. Deve essere piuttosto l’occasione per censire le strutture d’offerta identificando ridondanze e lacune. L’eliminazione delle ridondanze libererà risorse in grado di colmare le lacune.

E’ evidente che interventi di tale portata devono essere condotti sotto la regia regionale o quanto meno devono essere sponsorizzati a livello regionale.

 

 

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