L’ordinamento giuridico e le norme giuridiche.

A cura di Gianni Ascione, Dottore in Giurisprudenza – Azienda Ospedale di Perugia

 

Lo Stato

·         Forme di Stato e forme di Governo

·         Rapporti fra l’ordinamento interno e l’ordinamento internazionale

·         L’Unione Europea

La Costituzione

Le fonti del diritto

Il Servizio Sanitario Nazionale e l’articolo 32 della Costituzione

·         La Sanità prima del Sistema Sanitario Nazionale

·         Le tre riforme della Sanità dell’ultimo ventennio:

A) La riforma della legge 833 del 1978

    I limiti della riforma del 1978 e l’avvento dell’aziendalizzazione

B) La riforma del Decreto Legislativo n. 502 del 1992 – struttura,

Organizzazioni e funzioni del SSN

C) La riforma del Decreto Legislativo n. 229 del 1999 – le principali novità

·         Il Decreto Legislativo n. 517/1999 e i nuovi rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale ed Università

·         Il Decreto Legislativo n. 254/2000 ed il potenziamento della libera professione intramuraria

·         Il nuovo ordinamento del personale delle Aziende sanitarie

Doveri, Responsabilità e Diritti dei dipendenti pubblici

·         I doveri del dipendente in generale

·         La privacy e il segreto nell'esercizio professionale

·         La responsabilità civile, penale, amministrativa

·         I diritti del dipendente

I diritti dei cittadini e la legge regionale n. 27 del 20 maggio 1987


L'ordinamento giuridico e le norme giuridiche

L'ordinamento giuridico, o diritto, è un tipo di ordinamento sociale che ha a che fare con quella speciale società umana che è lo Stato. Ma che cosa è la società umana: una unione organizzata di persone, vale a dire un'unione voluta per perseguire determinati scopi di comune interesse.

Per fare questo ogni società deve necessariamente darsi un'organizzazione sociale, cioè una serie di vincoli alla libertà degli individui in vista dei fini comuni da perseguire.

La società si pone quindi una serie più o meno complessa di regole dell'agire dell'individuo nei rapporti sociali.

Tante sono le regole dell'agire umano che interessano diversi ambiti della vita sociale: ci sono le regole morali, le regole religiose, le regole sportive, le regole del galateo, etc. Ciascun gruppo di regole rappresenta un ordinamento sociale: l'ordinamento religioso, l'ordinamento sportivo, etc.

E ci sono anche le regole giuridiche e dunque, l'ordinamento giuridico. Ma cosa distingue l'ordinamento giuridico dagli altri ordinamenti?

È il complesso delle regole poste a tutela degli interessi di tutta la comunità e non di una parte di essa (gli sportivi, i religiosi, etc.) e che devono essere obbligatoriamente rispettate da tutti. L'ordinamento giuridico individua nello Stato, l'autorità assolutamente in grado di far rispettare le regole e di sanzionare chi non le rispetta. L'ordinamento giuridico è, quindi, il diritto e le regole che ne fanno parte, sono quindi giuridiche o, come si dice, norme giuridiche.

Vediamo brevemente i caratteri di queste regole speciali che sono le norme giuridiche e cosa le distingue dalle regole degli altri ordinamenti.

1.      Innanzitutto devono essere rispettate da tutti; e questo loro carattere è definito come coercibilità, imperatività o doverosità.

2.      Inoltre, sono generali perché si rivolgono ad un numero non determinato di destinatari, ad un'intera comunità di cittadini e, molte volte, anche a chi non ha la cittadinanza: è il caso delle norme penali che puniscono anche reati commessi dallo straniero in Italia e, addirittura, i reati commessi dal cittadino italiano all'estero.

3.      Le norme giuridiche sono anche astratte, nel senso che non fanno riferimento a casi o persone specifiche e ben individuate, ma descrivono un'ipotesi astratta che nella realtà di tutti giorni si può avverare molte volte. In parole povere, le norme giuridiche descrivono comportamenti - tipo e dicono cosa si deve o si può fare o non fare ed eventualmente, quali sanzioni ci aspettano se non si rispetta la norma giuridica.

4.      L'ultimo carattere rilevante delle norme giuridiche è la novità. Ogni nuova norma giuridica introduce nell'ordinamento giuridico una novità, nel senso che pone regole che prima non c'erano oppure sostituisce norme (la cosiddetta abrogazione di norme già esistenti) non più attuali, operando una sorta di manutenzione e aggiornamento dell'ordinamento giuridico rispetto alla realtà corrente.


Lo Stato

Abbiamo visto come l'ordinamento giuridico presupponga e qualche modo si identifichi con lo Stato: ciò in quanto è lo Stato che rende le regole dell'ordinamento, “giuridiche”, cioè regole di diritto.

Ma che cosa è lo Stato? Generalmente si ritiene che esso sia l'insieme di tre elementi essenziali il popolo, il territorio, il governo.

·        Il popolo è il insieme dei membri di questa grande società che è lo Stato;

·        il territorio è la sede comune del popolo;

·        il governo è il complesso di cittadini e di enti ai quali è attribuito l'esercizio della sovranità statale. Il termine “governo” ha qui un significato più ampio e diverso dal governo come organo dello Stato (es. il governo D'Alema) distinto dal parlamento. Qui parliamo della funzione di governo dello Stato in senso ampio, che implica tre ordini di poteri pubblici:

1.      il potere di fare le leggi (potere legislativo)

2.      il potere di dare esecuzione alle leggi (potere esecutivo)

3.      il potere di interpretare e a fare le norme giuridiche e di infliggere le sanzioni per la sua inosservanza (potere giurisdizionale).

Da quanto abbiamo detto fin ora, si deduce che il termine Stato è adoperato con diversi significati che possono essere raggruppati nel seguente modo:

·        Stato-ordinamento: l'ordinamento giuridico statale nel suo complesso

·        Stato-apparato: complesso degli enti e delle strutture che esercitano il potere dello stato

·        Stato-comunità: insieme dei soggetti della comunità statale.

Forme di Stato e forme di governo

Come si può immaginare, non esiste un solo modello, una sola forma di Stato, come non esiste una sola forma di governo.

Se guardiamo alla storia ed alla realtà, possiamo riconoscere diverse forme di Stato: lo Stato assoluto, lo Stato liberale, lo Stato totalitario, lo Stato socialista, lo Stato regionale, lo Stato federale, lo Stato democratico e sociale. Il nostro è uno Stato democratico - regionale.

La forma di governo definisce il modo in cui è diviso il potere politico fra gli organi supremi dello Stato. Tra le forme più ricorrenti vi sono il governo parlamentare (come il nostro), quello assembleare (ex Unione Sovietica), quello direttoriale (rivoluzione francese: direttorio di cinque membri eletti dalle camere; oppure Svizzera), quello presidenziale (esempio Stati Uniti di America).

Rapporti fra l'ordinamento interno e l'ordinamento internazionale.

Ciascuno stato ha il suo ordinamento, autonomo ed indipendente. Tuttavia ciascuno stato fa parte di una comunità internazionale e quindi deve attuare forme di coesistenza e di integrazione tra il proprio ordinamento e quello internazionale, nel rispetto della propria sovranità.

L'adattamento del diritto interno al diritto internazionale avviene in diversi modi:

·        tramite rinvio automatico alle norme internazionali universalmente riconosciute, le cosiddette consuetudini (articolo 10 della costituzione);

·        tramite un provvedimento (generalmente la legge) che ordina l'esecuzione di trattati internazionali;

·        tramite la riscrittura delle norme internazionali in norme interne.

L'Unione Europea.

Abbiamo introdotto il discorso dell'ordinamento internazionale (o sovranazionale), che ci riporta alla mente l'organismo sovranazionale di cui sentiamo sempre più parlare, che è la Comunità Europea (oggi Unione Europea). Vediamone brevemente la storia.

Alla fine degli anni 50 gli stati dell'Europa occidentale istituirono delle organizzazioni sovranazionali per realizzare l'integrazione europea per un mercato comune. Delle tre organizzazioni che si costituirono, la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), la CEE (Comunità Economica Europea) e l'EURATOM (Ente Europeo per l'Energia Atomica) facevano inizialmente parte sei stati: Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Germania, e Italia. Successivamente vi aderirono l'Irlanda, la Gran Bretagna e la Danimarca (1973), la Grecia (1981), la Spagna e il Portogallo (1986), l'Austria, la Finlandia, e La Svezia (1995). Oggi gli stati membri sono 15. Attualmente si sta discutendo sull'allargamento della Comunità Europea ai paesi dell'Est.

Con la ratifica dei trattati comunitari è stato istituito un vero e proprio ordinamento giuridico che impone agli stati membri, limitatamente ai settori economico, carbosiderurgico, e atomico, determinati comportamenti in vista dell'unione economica europea.

Le comunità europee hanno organi comuni (il Parlamento Europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia, la Banca Centrale Europea) che emettono norme vincolanti gli stati membri.


La Costituzione.

Abbiamo introdotto i concetti di ordinamento giuridico, di Stato e di norma giuridica o diritto. Passiamo quindi ad affrontare il discorso sulle fonti del diritto, partendo dalla fonte primaria e più importante che è la Costituzione.

Avrete già intuito la definizione di fonti del diritto: sono quelle regole che l'ordinamento abilita ad innovare, ad incidere sul diritto. Queste fonti sono perciò dette fonti legali. In genere queste fonti sono previste e regolate dalla Costituzione.

La Costituzione è quindi al primo posto tra le fonti del diritto ed è l'insieme delle norme fondamentali di un ordinamento giuridico.

Essa fu approvata dall'assemblea costituente il 22 dicembre 1947, fu promulgata il successivo 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il primo gennaio 1948. Consta di 138 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali.

La Costituzione disciplina le linee essenziali dell'organizzazione dello Stato, le relazioni tra lo Stato e i cittadini, le norme sulla produzione del diritto, i valori e i principi fondamentali del nostro ordinamento. Lo schema seguente, che è quello della nostra Costituzione, rende più evidenti la sua struttura ed i suoi contenuti.

PRINCIPI FONDAMENTALI

 

 

1 - 12

 

 

 

 

PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

 

 

 

Titolo I

Rapporti civili

 

13 - 28

Titolo II

Rapporti Etico sociali

 

29 - 34

Titolo III

Rapporti economici

 

35 - 47

Titolo IV

Rapporti politici

 

48 - 54

 

 

 

 

PARTE II: ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA

 

 

 

Titolo I

Il Parlamento

 

 

 

Sezione I

Le Camere

55 - 69

 

Sezione II

La formazione delle leggi

70 - 82

Titolo II

Il Presidente della Repubblica

 

83 - 91

Titolo III

Il Governo

 

 

 

Sezione I

Il Consiglio dei Ministri

92 - 96

 

Sezione II

La Pubblica Amministrazione

97 - 98

 

Sezione III

Gli Organi Ausiliari

99 - 100

Titolo IV

La Magistratura

 

 

 

Sezione I

Ordinamento giurisdizionale

101 - 110

 

Sezione II

Norme sulla giurisdizione

111 - 113

Titolo V

Le Regioni, le Province, i Comuni

 

114 - 133

Titolo VI

Garanzie Costituzionali

 

 

 

Sezione I

La Corte Costituzionale

134 - 137

 

Sezione II

Revisione della Costituzione - leggi costituzionali

138 - 139

 

 

 

 

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

 

 

I - XVIII

 

Un breve commento delle norme costituzionali.

I primi 12 articoli esprimono i principi fondamentali, i valori guida della nostra Repubblica:

·        il principio democratico e della sovranità del popolo;

·        la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e dei doveri di solidarietà sociale;

·        il mitico principio di uguaglianza (articolo tre);

·        il diritto al lavoro, la promozione delle autonomie locali, la tutela delle minoranze, la libertà religiosa, il riconoscimento del diritto internazionale, il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli.

Dopo i principi fondamentali, c'è la prima parte della Costituzione, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, come individui, come lavoratori e come membri della comunità sociale e politica.

Di particolare rilievo il diritto di libera associazione (articolo 18), il diritto di difesa (articolo 24), la responsabilità dei pubblici dipendenti (articolo 27) di cui parleremo in seguito; ed ancora, la tutela della famiglia (articoli 29 - 31), il diritto alla salute (articolo 32), che ci riguarda in modo particolare come cittadini ed operatori, il diritto al lavoro ed alla libertà sindacale (articoli 35 - 39), il diritto di sciopero (articolo 40), il diritto di proprietà (articoli 42 - 43), il diritto di voto (articolo 48).

La seconda parte è dedicata all'ordinamento della nostra Repubblica.

Si dettano innanzitutto le regole fondamentali del Parlamento e della formazione delle leggi, del Presidente della Repubblica, del Governo e dei così detti organi ausiliari (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, Consiglio di Stato, Corte dei Conti).

Si introducono gli importantissimi principi che devono governare l'agire della Pubblica Amministrazione: il principio di buon andamento ed il principio di imparzialità.

Si parla quindi della Magistratura, per affermarne l'autonomia e l'indipendenza da ogni altro potere.

Viene ancora delineato l'ordinamento degli enti locali (Regioni, Province, Comuni) e si stabilisce il potere delle regioni di fare leggi ed i relativi limiti.

L'ultimo ma non meno importante titolo della Costituzione, il sesto, riguarda le garanzie costituzionali e, in particolare, la Corte Costituzionale, che è il supremo presidio per il rispetto della Costituzione.

Essa giudica

·        sulla conformità alla Costituzione degli atti legislativi dello Stato e delle Regioni;

·        sui conflitti tra i poteri dello Stato e fra lo Stato e le Regioni;

·        sulle accuse di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, mosse al Presidente della Repubblica.


Le fonti del diritto

Abbiamo visto che la Costituzione è una fonte del diritto; anzi, la fonte delle fonti. Abbiamo anche definito fonti del diritto quelle regole abilitate dall'ordinamento ad innovare il diritto.

Tuttavia, va detto che non tutte le regole prodotte dagli organismi a ciò abilitati sono fonti del diritto; ed allora, quali sono queste fonti?

A questo proposito va anche detto che nella Costituzione non esiste un elenco esplicito, completo e tassativo delle fonti del diritto. Un simile elenco esiste in una norma di legge non costituzionale, che si dice "legge ordinaria": è l'articolo 1 delle "disposizioni sulla legge in generale", che troviamo nel codice civile.

Questo articolo stabilisce che sono fonti del diritto:

1)      le leggi

2)      i regolamenti

3)      le norme corporative (soppresse nel 1943)

4)      gli usi.

Il successivo articolo 2 delle “disposizioni sulla legge in generale” menziona "gli atti del governo aventi forza di legge"; ed ancora, l'articolo 3 cita "i regolamenti del governo", distinguendoli dai "regolamenti di altre autorità".

Questo elenco non esaurisce i tipi di fonte del nostro ordinamento; basti pensare agli statuti degli enti locali. Allora, la dottrina giuridica ha detto che per identificare le regole che sono fonti del diritto bisogna badare oltre che al nome, alla sostanza delle regole, verificando se hanno i caratteri delle norme giuridiche, cioè se sono imperative, generali, astratte e nuove. Ma non ci addentriamo oltre nel problema, perché non è nostro compito.

Prima di esaminare le fonti più in particolare, dobbiamo dire un concetto fondamentale: ciascuna fonte ha una sua "forza formale", riconosciuta dall'ordinamento, che la colloca più in alto o più in basso delle altre; in modo che le norme che stanno più in alto prevalgono su quelle che stanno più in basso.

Le fonti del diritto, pertanto, sono ordinate gerarchicamente, proprio come si verifica nella gerarchia militare; pur se, dobbiamo dire, il principio di gerarchia soffre di eccezioni, che, nell'economia di questo lavoro, non compete esaminare.

Proviamo ora ad elencare le fonti secondo il principio gerarchico:

 

1

La Costituzione, le leggi costituzionali e di revisione della Costituzione, gli Statuti delle Regioni a Statuto speciale

2

Le leggi ordinarie, i decreti legge e i decreti legislativi delegati, gli Statuti delle regioni a Statuto ordinario, le leggi regionali che sono esercizio di potestà legislativa "primaria", il referendum abrogativo di norme legislative

3

Le leggi regionali che sono esercizio di potestà legislativa "derivata" o "attuativa" di leggi statali

4

I regolamenti del governo ed i regolamenti parlamentari

5

I regolamenti delle regioni, gli Statuti degli enti locali

6

Le consuetudini

 

Accenniamo ora alle fonti più importanti.

La Costituzione.

Della Costituzione abbiamo già parlato. Aggiungiamo che essa è al primo posto anche tra le fonti di rango costituzionale, in quanto deliberata dall'Assemblea Costituente, espressa dal popolo.

Le leggi costituzionali e di revisione della Costituzione.

Sono leggi che per essere adottate richiedono una procedura più "pesante" di quella prevista per le leggi ordinarie. Lo prevede la Costituzione all'articolo 138; e sempre la costituzione, all'articolo 72, prescrive che queste leggi debbano sempre essere esaminate ed approvate direttamente dalla Camere, e non dalla commissioni parlamentari, come può avvenire per le leggi ordinarie.

Le leggi di revisione della Costituzione sono quelle che incidono sul testo della Costituzione.

Le altre leggi costituzionali sono quelle espressamente indicate dalla costituzione (articoli 132 e 137), quelle che derogano alle norme costituzionali senza abrogarle e quelle che il Parlamento intenda approvare con la procedura "aggravata" di cui abbiamo parlato prima.

Le leggi ordinarie sono le fonti del diritto per eccellenza; prevalgono su ogni altra fonte e sono subordinate solo alle fonti di rango costituzionale. La funzione legislativa (fare le leggi) spetta, per costituzione, collettivamente alle due camere (articolo 70) che, insieme, formano il parlamento.

La Costituzione prevede anche il procedimento di formazione delle leggi, le cui fasi sono:

·        l'iniziativa delle legge, che appartiene al governo, ai deputati e senatori, ad altri organi ed enti cui sia conferita con legge costituzionale, al popolo (almeno 50.000 elettori);

·        l’esame ed approvazione da parte del Parlamento e delle sue commissioni;

·        la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione;

·        la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed entrata in vigore, di regola, dopo 15 giorni.

Gli atti del Governo aventi forza di legge sono i decreti legge ed i decreti legislativi delegati.

Abbiamo detto che la funzione legislativa spetta al Parlamento; esistono tuttavia casi, previsti dalla Costituzione, che giustificano l'emanazione di atti che hanno la forza della legge, anche da parte del Governo; questi atti sono i decreti legislativi delegati ed i decreti legge.

I decreti legislativi delegati. L'articolo 76 della Costituzione consente al Parlamento di delegare al Governo l'esercizio della funzione legislativa; a condizione che tale delega sia conferita con legge (la così detta "legge delega"), riguardi materie ben definite e dia al Governo un termine preciso e limitato per esercitarla. Generalmente la delega riguarda materie molto tecniche o situazioni da regolare con una tempestività che il Parlamento non è in grado di assicurare.

I Decreti Legge. L'articolo 77 della Costituzione prevede che, in casi straordinari di necessità ed urgenza il Governo adotti provvedimenti provvisori con forza di legge. Questi provvedimenti devono essere subito presentati in Parlamento, che deve convertirli in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. In caso contrario, il decreto legge perde efficacia sin dall'inizio, ed è come se non fosse mai esistito.

Gli Statuti delle Regioni.

L'articolo 123 della Costituzione prevede che ogni regione abbia uno Statuto che stabilisce le norme relative alla propria organizzazione interna.

Lo Statuto è quindi espressione dell'autonomia regionale. In Costituzione sono previsti 2 tipi di Statuto:

1.      lo Statuto speciale, adottato con legge costituzionale, a favore di 5 regioni che godono di una speciale autonomia: Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle D'Aosta;

2.      lo Statuto ordinario, per tutte le altre regioni, deliberato dal Consiglio regionale ed approvato con legge del Parlamento.

Quindi, gli Statuti speciali sono leggi costituzionali, gli Statuti ordinari sono leggi ordinarie.

Le leggi regionali.

È noto che le regioni hanno il potere di emanare proprie leggi. Le leggi regionali possono:

1.      concorrere ed avere pari dignità rispetto alle leggi dello Stato, entro i limiti previsti dalla Costituzione (articolo 117), dei principi generali dell'ordinamento giuridico statale, degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali e delle altre regioni; questo potere legislativo si chiama "potestà legislativa primaria e concorrente" con quella dello Stato;

2.      attuare (per tutte le regioni) ed integrare (per sole regioni a Statuto speciale) le leggi dello Stato, purché questo potere sia loro demandato da leggi dello Stato (articolo 117, ultimo comma, della Costituzione).

 

Il referendum abrogativo.

È un tipico strumento di democrazia diretta, nel senso che è il popolo in prima persona a poter decidere l'abrogazione (vale a dire, la cancellazione), totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge. In questo senso, la Corte Costituzionale ha assimilato il referendum ad una fonte legislativa.

L'articolo 75 della Costituzione prevede che il referendum non possa abrogare le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.


Il Servizio Sanitario Nazionale e l’articolo 32 della Costituzione.

 

Il Servizio Sanitario Nazionale odierno è il punto di arrivo di una lunga evoluzione della sanità pubblica nel nostro paese che, solo a distanza di circa trent'anni dalla emanazione della Costituzione, ha iniziato a dare un'organica risposta al dettato dell'articolo 32 della Costituzione stessa.

È utile esaminare brevemente questo cammino.

La Sanità prima del Sistema Sanitario Nazionale

Dopo l’unificazione del regno d'Italia, nel 1865, fu emanata nello stesso anno una legge che affidava tutela della sanità pubblica al ministro dell'interno in sede centrale e ai prefetti ed ai sindaci, in sede periferica. Nel 1890 furono istituite le IPAB, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, alle quali appartenevano in gran parte gli ospedali.

Fino al 1946, furono anche istituiti diversi enti mutualistici con compiti previdenziali e sanitari (Inail, istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro; l'INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; l'ENPAS, Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza degli Statali; l'INAM, Istituto Nazionale di Assicurazione contro le Malattie) e varie altre mutue con finalità di previdenza ed assistenza per determinate categorie di professionisti: commercianti, artigiani, coltivatori diretti, lavoratori pubblici e privati.

Si creò un mosaico vasto e composito di forme assistenziali, talora profondamente diverse tra loro.

Nel 1945 la materia sanitaria venne sottratta al ministero dell'interno e fu affidata ad una amministrazione autonoma, l'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica, posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Questo, in estrema sintesi, è lo scenario che precedette l'entrata in vigore della Costituzione e, in particolare, dei nuovi principi in materia sanitaria, contenuti negli articoli 32 e 117.

L'articolo 32, al comma primo, afferma in modo solenne che "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”, aggiungendo che essa "garantisce cure gratuite agli indigenti".

Questa norma dà dignità costituzionale al principio della doppia rilevanza, individuale e sociale, della salute; indica inoltre una linea di tendenza nella quale deve svilupparsi l'ordinamento.

Il comma secondo dell'articolo 32 contiene due disposizioni che rafforzano la rilevanza costituzionale del diritto alla salute: nessuno può essere obbligato a trattamenti sanitari se non dalla legge e, comunque, la stessa legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Vale a dire che il diritto di scegliere se e come curarsi non può essere limitato salvo che di fronte al superiore interesse pubblico ma comunque in nome di questo superiore interesse non si può mai violare il rispetto della persona, a pena di incostituzionalità.

L'altra norma della Costituzione particolarmente importante in materia sanitaria è l'articolo 117, che attribuisce alla competenza delle regioni la materia della "assistenza sanitaria ed ospedaliera", nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

Come già detto, l'attuazione di questi principi costituzionali non è stata immediata; vediamo in breve le tappe successive.

Nel 1956 fu istituito il Ministero della Sanità, che assorbì tutte le competenze dell'Alto Commissariato e di tutte le altre amministrazioni in materia di sanità pubblica. Ad esso furono attribuite le funzioni di provvedere ai servizi sanitari delle amministrazioni dello Stato, di vigilare su tutti gli enti erogatori di assistenza sanitaria e sull'esercizio di tutte le professioni sanitarie, di emanare istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che si occupavano di sanità.

Quali organi periferici del Ministero della Sanità furono istituiti il Medico Provinciale e gli Ufficiali sanitari comunali.

Il Ministero della Sanità fu la prima vera struttura istituzionale in materia di sanità pubblica.

Ma è con la successiva riforma ospedaliera del 1968 (legge 12 febbraio 1968, n. 132) che si fece un concreto passo in avanti nell'attuazione dell'articolo 32 della Costituzione.

Con la riforma ospedaliera, infatti, fu abbandonato il concetto degli enti di assistenza e beneficenza e il criterio caritativo - assistenziale; gli ospedali vennero scorporati dagli enti pubblici (IPAB, Mutue, Ospedali civili ed altri enti pubblici) per essere costituiti in enti autonomi, tutti con la stessa organizzazione e tutti con il solo scopo del ricovero e della cura.

Questi ospedali furono distinti in categorie: generali e specializzati, per lungodegenti e per convalescenti. Quelli generali vennero a loro volta distinti in ospedali di zona, provinciali e regionali.

La riforma ospedaliera previde anche:

·        un'attività di programmazione ospedaliera, un piano nazionale ospedaliero, da raccordare con i corrispondenti piani regionali;

·        il finanziamento della spesa tramite la retta di degenza e gli stanziamenti del Fondo Sanitario Ospedaliero.

L'assistenza sanitaria comincia quindi a diventare sistema sanitario. Ma vediamo i passaggi successivi verso la riforma del 1978.

Nel 1972 lo Stato trasferì alle regioni le funzioni amministrative statali in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, inclusi il personale e gli uffici.

Nel 1974, con legge n. 386, furono estinti i debiti che le mutue avevano accumulato verso gli Enti ospedalieri, fu istituito il Fondo Nazionale per l'Assistenza Ospedaliera (che veniva dato alle regioni, che a loro volta lo erogavano agli ospedali e alle case di cura) e furono dettate disposizioni per il concreto avvio della riforma.

Per effetto della legge 386, l’assistenza ospedaliera divenne completamente gratuita per tutti coloro che erano già iscritti ad una mutua ed anche per i non iscritti che si iscrivessero in un apposito ruolo regionale, dietro pagamento di una somma forfetaria. E siamo giunti ad un passo dalla riforma del 1978.

Nel 1977, con legge n. 349, furono soppresse le mutue con funzioni di assistenza sanitaria e le gestioni sanitarie degli enti di previdenza; furono anche emanate disposizioni per la stipulazione delle convenzioni uniche per il personale sanitario.

Sempre nel 1977, con Decreto del Presidente della Repubblica n. 616, fu completato il trasferimento alle regioni di funzioni amministrative in materia sanitaria, esercitate dagli enti diversi dallo Stato.

L'anno dopo, con legge n. 833 del 23 dicembre 1978, fu istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), dopo un intenso dibattito nel paese tra le forze politiche, sociali, sindacali ed associazioni di categoria e del volontariato.

Le tre riforme dell’ultimo ventennio:

A) la riforma della legge 833 del 1978.

I principi, fissati nella legge 833 all'articolo 1, si ispirano direttamente all'articolo 32 della Costituzione; vediamoli in breve.

GLOBALITÀ DEGLI INTERVENTI: tutte le attività sanitarie, tanto di prevenzione quanto di cura, si muovono nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale (SSN);

UGUAGLIANZA DI TUTTI I CITTADINI NEI CONFRONTI DEL SERVIZIO, senza distinzioni di condizioni individuali o sociali; si tratta del superamento del sistema mutualistico, diviso tra tanti enti ed erogatore di prestazioni diseguali secondo le categorie di cittadini assistiti;

PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI e controllo democratico sulla funzionalità delle strutture pubbliche;

COLLEGAMENTO E COORDINAMENTO con tutte le istituzioni che operano nel settore della sanità e, in particolare, con le associazioni di volontariato.

Gli obiettivi del SSN nella legge 833 vengono elencati, in modo dettagliato, nell'articolo 2; vediamoli in breve.

LA PREVENZIONE delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro; finalità che non esisteva nel sistema mutualistico, basato esclusivamente sulla cura e sulla riabilitazione.

L'IGIENE E LA SALUBRITÀ degli ambienti di vita e di lavoro e degli alimenti e il controllo dell'igiene ambientale.

LA DIAGNOSI, LA CURA E LA RIABILITAZIONE delle malattie, nel quadro del citato principio della globalità degli interventi, che comprende anche le attività di prevenzione.

IL SUPERAMENTO DEGLI SQUILIBRI TERRITORIALI nelle condizioni sociali ed economiche nel Paese, per assicurare una effettiva eguaglianza di trattamenti su tutto il territorio nazionale, fin dove possibile.

LA TUTELA DELLA MATERNITÀ, DELL'INFANZIA, della salute nell'età evolutiva e negli anziani, delle attività sportive, della salute mentale.

L'organizzazione del SSN nella legge 833.

Per dare attuazione ai propri obiettivi, la legge 833 previde una complessa divisione di compiti tra lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e relative "strutture operative", le Unità Sanitarie Locali.

In estrema sintesi, vediamo questa divisione di compiti.

Compiti dello Stato:

·        determinare gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale, nell'ambito della programmazione economica nazionale;

·        fissare i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini, nell'ambito del Piano Sanitario Nazionale (PSN);

·        individuare e coordinare le attività amministrative delle regioni in materia sanitaria, per esigenze unitarie ed internazionali, di programmazione nazionale, di controllo della spesa sanitaria;

·        dividere fra le regioni il Fondo Sanitario Nazionale (FSN).

Compiti delle Regioni:

·        fare le leggi in materia sanitaria ed ospedaliera, nel rispetto dei principi generali fissati dalle leggi dello Stato;

·        esercitare le funzioni amministrative proprie e delegate dallo Stato;

·        fare i Piani Sanitari Regionali (PSR);

·        dividere fra le USL il Fondo Sanitario Regionale (FSR);

·        stipulare convenzioni con le Facoltà di Medicina e gli enti di ricerca per regolare i contributi delle USL e dell'Università alle attività di assistenza, di didattica e di ricerca.

Compiti delle Province:

·        approvare la localizzazione, nell'ambito del Piano Sanitario Regionale, dei presidi del SSN;

·        esprimere parere sulle delimitazioni del territorio delle USL:

Compiti dei Comuni:

·        esercitare tutte le funzioni amministrative in materia sanitaria ed ospedaliera, attraverso le USL.

Le USL

La legge 833 stabilì quindi che le USL erano "strutture operative dei comuni o delle comunità montane".

Organi della USL erano:

-         l'Assemblea Generale, costituita dal Consiglio comunale o dall'assemblea dell'associazione dei comuni, nel caso in cui il territorio della USL insistesse su più comuni. All'Assemblea fu demandato il compito di fissare le linee di fondo dell'attività della USL (approvazione dei bilanci e dei conti consuntivi, dei piani, dei programmi e delle spese pluriennali, della pianta organica del personale, dei regolamenti e delle convenzioni);

-         Il Comitato di Gestione eletto dall'Assemblea Generale; ad esso spettavano tutti gli atti di amministrazione delle USL (le così dette delibere);

-         il Presidente del Comitato di Gestione, eletto dallo stesso Comitato, con potere di rappresentanza della USL e di adozione degli atti di gestione necessari ed urgenti, da sottoporre alla successiva ratifica del Comitato di Gestione;

-         il Collegio dei Revisori dei Conti, col compito di verificare la conformità alle leggi e la correttezza economico contabile degli atti della USL.

I limiti della riforma della legge 833 e l’avvento dell’aziendalizzazione.

Il modello di servizio sanitario costruito dalla legge 833 entrò presto in crisi, principalmente per due fattori: l’insoddisfazione dei cittadini utenti circa la qualità delle prestazioni e l’incontrollabilità della spesa sanitaria.

Per quanto riguarda la qualità dei servizi, si assistette ad una forte crescita della domanda di servizi sanitari, stimolata dalla mancanza di limiti economici; domanda che divenne insostenibile; risultò difficile, nella realtà, assicurare livelli omogenei di assistenza e, anzi, emersero forti disparità nei servizi offerti nelle diverse regioni.

Per quanto riguarda l’incontrollabilità della spesa sanitaria, la legge 833 non aveva fissato specifici vincoli finanziari alla spesa sanitaria; a ciò si aggiungeva la mancata approvazione del Piano Sanitario Nazionale, che doveva stabilire l’entità del Fondo Sanitario Nazionale. Il Fondo fu invece determinato ricorrendo al criterio della “spesa storica”, che non consentiva alcun governo della spesa. Si determinavano continui deficit, che si incrementavano di anno in anno e venivano ripianati a piè di lista.

In sostanza il sistema della legge 833, separando i poteri di spesa (in capo a regioni ed USL) dal finanziamento (a carico dello Stato), determinò una forte deresponsabilizzazione economica e una totale incontrollabilità dei costi.

Il livello di crisi raggiunto dal sistema determinò la necessità di una nuova riforma, con gli obiettivi di aumentare l’economicità della gestione e responsabilizzare di più tutti i soggetti interessati: le regioni, le strutture ed i cittadini.

B) La riforma del Decreto Legislativo n. 502 del 1992 - struttura, organizzazione e funzioni del SSN.

Si giunse così a definire una nuova normativa, il Decreto Legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, più volte integrato e modificato, fino allo scorso anno.

Con questa seconda riforma, in vigore fino al luglio di quest’anno, si è inteso realizzare, fra l’altro,

·        una maggiore responsabilità delle regioni;

·        una più chiara distinzione tra la politica e la gestione, per perseguire un maggior livello di economicità;

·        l’attribuzione di autonomia e responsabilità economica e gestionale alle strutture sanitarie,

·        il finanziamento dell’attività sanitaria, prevalentemente in termini di remunerazione delle prestazioni erogate, piuttosto che di copertura dei costi comunque sostenuti.

In sintesi, con la seconda riforma, il sistema si riorganizza come segue.

A livello centrale (lo Stato) vengono definiti, tramite il Piano Sanitario Nazionale, gli obiettivi fondamentali di prevenzione, di diagnosi e cura, i livelli uniformi di assistenza e l’entità del finanziamento assicurato al Servizio Sanitario Nazionale.

A livello regionale vengono definite le strategie organizzative e gestionali più adatte per attuare il Servizio Sanitario Regionale. Una novità veramente rilevante sta nel fatto che le regioni possono decidere se assicurare livelli di assistenza superiori a quelli uniformi e devono ripianare gli eventuali disavanzi di USL ed Ospedali, utilizzando solo proprie risorse economiche. Per reperire queste risorse le regioni possono intervenire sui tickets esistenti, istituirne di nuovi e istituire nuove tasse.

A livello delle strutture che erogano i servizi sanitari (USL ed Ospedali), viene loro attribuita la dimensione di "azienda"; in particolare, le nuove aziende sanitarie assumono la personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Alcuni ospedali, ad alta specializzazione o di rilevanza nazionale, diventano aziende e si separano dalle USL; gli altri ospedali restano nelle USL, come presidi interni alle stesse ma con una certa autonomia contabile (contabilità separata).

L'aziendalizzazione consiste quindi nell'introduzione, nelle USL e negli ospedali - azienda,

·        di modelli di gestione tipici dell'impresa privata e

·        di elementi di mercato nel rapporto tra domanda ed offerta di servizi.

Si spiega, così,

·        la scelta di far dirigere le aziende sanitarie da un direttore generale, che tende a somigliare ad un amministratore delegato dell'impresa privata, in quanto accentra su di sé tutti i poteri di gestione e risponde alla regione;

·        l'introduzione di sistemi contabili, di analisi e di previsione dei costi, tipici dell'impresa privata: la contabilità economico patrimoniale, la contabilità analitica, il budget, l'obbligo del pareggio di bilancio;

·        la libertà di scelta delle strutture sanitarie da parte del cittadino e la remunerazione delle strutture stesse sulla base delle prestazioni effettivamente erogate, perciò gli introiti realizzati dipendono, praticamente, dalle scelte del cittadino.

Vediamo ora gli organi delle aziende sanitarie, previsti dalla seconda riforma.

Innanzitutto il Direttore Generale, che ha tutti i poteri di gestione e la rappresentanza dell'azienda ed è assunto dalla regione con contratto privatistico. Egli nomina un direttore amministrativo ed un direttore sanitario, che dirigono rispettivamente i servizi amministrativi e sanitari ed esprimono parere obbligatorio sugli atti relativi alle materie di rispettiva competenza.

Poi, il Collegio dei Revisori, composto da 3 o 5 membri (se il bilancio supera i 200 miliardi) designati dal Ministero del Tesoro (ora Tesoro, Bilancio e Programmazione Economica) e dal Sindaco; esso ha il compito di vigilare sulla osservanza delle leggi e di controllare la regolarità della gestione contabile.

Accanto ai due, predetti organi, la seconda riforma prevede anche i seguenti organismi:

-         il Consiglio dei Sanitari, organismo eletto dai dipendenti, con funzione di consulenza tecnico sanitaria. Esso è presieduto dal direttore sanitario ed è composto da medici ed altri operatori del ruolo sanitario; esprime parere obbligatorio al direttore generale per le attività tecnico sanitarie;

-         la Conferenza Dei Sindaci (od il sindaco), composta dai sindaci del comprensorio territoriale della USL; essa contribuisce alla programmazione regionale e locale, fa osservazioni sui bilanci della USL, verifica l'andamento generale delle attività e trasmette le proprie valutazioni al direttore generale; per le aziende ospedaliere questo organismo non è previsto;

-         il coordinatore dei servizi sociali, figura prevista per le USL che assumono dagli enti locali la gestione dei servizi socio assistenziali.

Dopo gli organi, parliamo dell'organizzazione delle aziende sanitarie.

La seconda riforma conferma l'attribuzione alle USL di compiti di prevenzione ed erogazione di prestazioni di medicina di base, specialistiche, di diagnostica strumentale, di laboratorio ed ospedaliere.

Per quanto riguarda i compiti di prevenzione, vengono istituiti presso ciascuna USL i Dipartimenti di Prevenzione, che aggregano servizi prima separati (igiene e sanità pubblica, prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, igiene degli alimenti, servizi veterinari).

Le prestazioni di medicina di base vengono erogate dai medici e pediatri convenzionati con le USL.

Le prestazioni specialistiche, di laboratorio ed ospedaliere vengono erogate dai presidi della USL o da Aziende ospedaliere e pagate delle USL.

Sul territorio, poi, le USL continuano ad articolarsi in Distretti socio sanitari ma con compiti più rilevanti e qualificati rispetto a quelli previsti dalla prima riforma (erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento).

Il Distretto delle aziende USL è il centro di coordinamento dei servizi sanitari sul territorio, il centro di orientamento e controllo della domanda socio sanitaria; è, inoltre, un centro di responsabilità con autonomia economico finanziaria e gestionale.

C) La riforma del Decreto Legislativo n. 229 del 1999 - le principali novità.

Recentemente, con Decreto Legislativo n. 229 del 16 giugno 1999, è stata varata la terza riforma del Servizio Sanitario Nazionale, con i seguenti, fondamentali obiettivi:

·        rafforzare il SSN e confermare il suo carattere universalistico e solidaristico;

·        spingere e completare l'“aziendalizzazione” secondo criteri privatistici: flessibilità, autonomia imprenditoriale, responsabilità diretta della dirigenza;

·        garantire la qualità dei servizi attraverso regole di accreditamento di strutture e di professionisti, uguali per tutti;

·        dare più voce ai cittadini, facendo loro esprimere il gradimento sull’assistenza ricevuta, ed attraverso il coinvolgimento delle associazioni di utenti nella verifica del Servizio Sanitario; condizioni, queste, per “accreditare” le strutture, vale a dire, per attribuire alle strutture una specie di certificato di idoneità e qualità;

·        rafforzare l’autonomia regionale, dando alle regioni la responsabilità di gestire ed organizzare in prima persona l’offerta dei servizi di prevenzione ed assistenza;

·        coinvolgere maggiormente il Comune nella programmazione e valutazione dei servizi;

·        coinvolgere maggiormente i medici nel governo dell’azienda sanitaria, rilanciando e premiando il rapporto esclusivo con il SSN.

Per quanto riguarda l’organizzazione, i cambiamenti più rilevanti sono i seguenti:

·        le aziende possono acquistare beni e servizi con le regole di diritto privato, senza dover fare le gare pubbliche, salvo l’obbligo di fare le gare europee quando l’importo delle forniture da aggiudicare superi le 200.000 unità di conto europee (circa 400 milioni);

·        viene confermata la figura del direttore generale, che deve essere più “managerializzato”, in quanto deve possedere uno specifico titolo di formazione in materia di sanità pubblica, organizzazione e gestione sanitaria;

·        scompare il Collegio dei Revisori, sostituito dal Collegio sindacale, con compiti più simili alle imprese private;

·        viene istituito il Collegio di Direzione, organismo tecnico che affianca il Direttore Generale nella programmazione, nel governo e nella valutazione delle attività sanitarie; del Collegio di Direzione devono far parte i direttori sanitario ed amministrativo, i direttori di distretto, di dipartimento e di presidio;

·        vengono rafforzate le funzioni di integrazione del distretto e si individua la figura del Direttore di distretto, affiancato da un Ufficio di coordinamento delle attività distrettuali, composto dai rappresentati delle professionalità coordinate dal distretto.


Il Decreto Legislativo n. 517/1999 e i nuovi rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale ed Università.

Pochi mesi dopo la "riforma della riforma" del decreto legislativo n. 229, viene emanato un nuovo decreto legislativo, n. 517 del 21 dicembre 1999, col quale si ridefiniscono in parte i rapporti tra il Servizio Sanitario Nazionale e l'Università.

Il fine è quello di precisare e migliorare la cooperazione tra il Servizio Sanitario Nazionale e i Policlinici Universitari. Questo Decreto, in sintesi, prevede

·        la stipula di protocolli di intesa tra Regioni ed Università per definire le linee generali della partecipazione delle Università alla programmazione sanitaria regionale, i volumi ottimali di attività, i posti letto, le strutture assistenziali, i criteri per l'adozione dell'atto aziendale di diritto privato;

·        il riconoscimento delle aziende ospedaliero - universitarie come strutture attraverso le quali si realizza la collaborazione;

·        l'organizzazione di tali aziende in Dipartimenti, Strutture Complesse e Strutture Semplici;

·        l'individuazione del Direttore Generale, del Collegio sindacale e dell'Organo di indirizzo, quali organi delle Aziende Ospedaliero Universitarie. L'Organo di indirizzo è una novità; esso sovrintende all'attività dei così detti "Dipartimenti ad attività integrata" - attività assistenziale ed attività didattica - proponendo misure per assicurare la coerenza di queste due attività con la relativa programmazione generale;

·        la presenza nel Collegio di Direzione, anche dei Direttori dei Dipartimenti ad attività integrata.

 

Il Decreto Legislativo n. 254/2000 ed il potenziamento della libera professione intramuraria

Con questo ulteriore Decreto, che integra e corregge il Decreto Legislativo 229, si stabilisce, fra l'altro, il compito per le Regioni di definire entro fine 2000 un programma di realizzazione di strutture sanitarie per l'attività libero professionale intramuraria. Viene anche prorogato al 31 luglio 2003 l'uso degli studi professionali privati per questa attività. Viene stabilito, infine, che il responsabile di struttura complessa si chiami "Direttore" ed il Responsabile di struttura semplice si chiami "Responsabile".


Il nuovo ordinamento del personale delle aziende sanitarie.

Dopo aver parlato della struttura e dell’organizzazione delle aziende sanitarie, è opportuno accennare anche all’organizzazione del personale delle Aziende stesse.

Il personale delle aziende sanitarie è articolato in 3 grosse categorie: la dirigenza medica, la dirigenza non medica (sanitaria, professionale ed amministrativa) ed il personale del comparto, che raggruppa tutte le figure professionali non dirigenti.

Il rapporto di lavoro è regolato da contratti di lavoro, che sono di due tipi: 1) contratti collettivi, stipulati tra sindacati e parte pubblica; 2) contratti individuali, stipulati tra i neo assunti e l’azienda che li assume.

Per quanto riguarda i contratti collettivi, esistono due livelli di contrattazione: il livello nazionale, da cui deriva il contratto collettivo nazionale; il livello di contrattazione così detta “integrativa”, che si svolge a livello di azienda sulle materie previste dai contratti collettivi nazionali e produce il contratto integrativo aziendale.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) della Sanità detta le regole del rapporto di lavoro, valevoli per tutti gli enti ed aziende del comparto di contrattazione “Sanità”; il contratto collettivo integrativo aziendale (CCIA) è estremamente importante perché individua e regola, fra le altre cose, le risorse ed i meccanismi per l’incentivazione del personale, la programmazione della formazione, le politiche dell’orario di lavoro e dello straordinario, i criteri per le carriere del personale. In questo modo, ogni azienda arriva praticamente a definire una propria “politica del personale”.

L’ultimo contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Sanità, valevole per il quadriennio 1998/2001, contiene fra le altre cose la grossa novità della nuova classificazione del personale, che supera la precedente classificazione basata sulle posizioni funzionali, sui livelli e sui profili. Tale precedente classificazione, prevista dai Decreti del Presidente della Repubblica (DPR) 761 del 1979 e 384 del 1990, prevedeva ben 8 posizioni funzionali, alle quali corrispondevano altrettanti livelli retributivi; e in ogni posizione funzionale erano raggruppati diversi profili professionali, sanitari, tecnici ed amministrativi. Col nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro, scompaiono le 8 posizioni funzionali, che vengono sostituite da 4 categorie, denominate A, B, C e D. In ciascuna categoria è compreso un certo numero di profili professionali. Il profilo di Ostetrica/o, è reinquadrato nella categoria C, profilo professionale “Operatori professionali sanitari, mentre per le attribuzioni ed i requisiti culturali e professionali il contratto fa rinvio al Decreto Ministeriale 740/1994.

I reinquadramenti prevedono anche alcuni cambiamenti di nome: per esempio, gli infermieri professionali diventano più semplicemente “infermieri; le vigilatrici di infanzia, “infermieri pediatrici”; i terapisti della riabilitazione, “fisioterapisti”, e così via.

Lo scopo della nuova classificazione è, dunque, quello di semplificare e rendere più efficiente ed efficace l’ordinamento del personale; ma è anche quello di sbloccare, in qualche modo, le carriere.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro precede infatti tre tipi diversi di progressione interna di carriere, nei limiti della dotazione organica di ciascuna categoria e delle risorse a disposizione:

a)      passaggi tra categorie, previa selezione interna con svolgimento di prova teorico pratica e/o colloquio e valutazione dei curriculum;

b)      passaggi entro le categorie (solo per le categorie B e D) a livelli economici superiori;

c)      passaggi entro categorie, tra profili diversi dello stesso livello.


La professione Ostetrica

Parliamo ora in modo specifico della professione di ostetrica/o.

Va premesso che la riforma sanitaria del 1992 segnò un punto di svolta anche verso la "professionalizzazione" dei profili del personale sanitario non medico e non laureato. L'articolo 6 del Decreto legislativo 502/1992, infatti, stabilì nuove regole per una formazione di rango universitario per questi professionisti e demandò al Ministro della Sanità il compito di individuare, con proprio decreto, le figure professionali da formare e i relativi profili.

Il Ministro individuò, tra gli altri, la figura ed il relativo profilo professionale dell'Ostetrica/o con Decreto 14/09/1994, n. 740 (in appendice), che ne ha descritto gli ambiti di attività e le responsabilità.

Questo decreto ha convissuto, fino ai primi del 1999, con le preesistenti regole normative relative all'"esercizio professionale delle ostetriche"; vale a dire, il Decreto del Presidente della Repubblica 07/03/1975, n. 163 "aggiornamento del Regio Decreto 26 maggio 1949, n. 1364, concernente il "regolamento per l'esercizio professionale delle ostetriche" e il Decreto Ministeriale 15/09/1975 "Istruzioni per l'esercizio professionale delle Ostetriche".

Difatti, con legge 26/02/1999, n. 42 "Disposizioni in materia di professioni sanitarie" viene abrogato il DPR 163/1975 (il così detto "mansionario") e perdono quindi vigore le relative istruzioni.

Questa stessa legge 42/1999 propone poi una svolta culturale importante, laddove trasforma la denominazione "professione sanitaria ausiliaria", ancora vigente nel Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934 e in altre normative, in "professione sanitaria". Precisa inoltre, quanto al campo di attività ed alle responsabilità di questi professionisti della Sanità, che sono determinati dai contenuti:

a)      dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali;

b)      degli ordinamenti didattici dei corsi di diploma universitario e di formazione post - base;

c)      degli specifici codici deontologici.

E tutto ciò, precisa ancora espressamente la legge, nel reciproco rispetto delle specifiche competenze professionali tra questi professionisti e gli altri professionisti medici e non, della Sanità.

Con recente legge 10/08/2000, n. 251 "disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica", si è incisivamente proseguito nel processo di "professionalizzazione",

a)      dichiarando in modo espresso il principio dell'autonomia professionale nello svolgimento delle attività professionali;

b)      riconoscendo anche per queste professioni la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario, formata attraverso uno specifico percorso universitario post - diploma;

c)      dando alle Aziende Sanitarie la possibilità di istituire lo specifico servizio di assistenza infermieristica ed ostetrica, diretto da un dirigente con incarico triennale rinnovabile, appartenente alle professioni sanitarie di cui alla legge stessa.

 


Doveri, Responsabilità e Diritti dei dipendenti pubblici

Doveri, responsabilità e diritti dei pubblici dipendenti hanno regole generali comuni a tutti i pubblici dipendenti, e regole particolari relative a ciascun settore di attività della Pubblica Amministrazione. Questa materia ha le sue regole nella Costituzione, in diverse leggi ed altri atti normativi, nei codici civile e penale, nei contratti collettivi.

I Doveri del dipendente in generale.

Ricordiamo anzitutto il dovere costituzionale della Pubblica Amministrazione di garantire il buon andamento e l’imparzialità del suo agire (articolo 97); ne abbiamo già parlato in precedenza; è un dovere forte che incombe su tutti i soggetti impegnati nella pubblica amministrazione e quindi, in primo luogo, sui suoi dipendenti.

Inoltre, la riforma del pubblico impiego (Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articoli 58 bis e 59) ha stabilito che la definizione dei doveri del dipendente spetta

a)      al così detto “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, adottato dalla Funzione Pubblica, per tutte le pubbliche amministrazioni;

b)      ai “Codici di comportamento di ciascuna amministrazione”, che integrano i primi adattandoli alla realtà di ciascuna amministrazione;

c)      agli specifici elenchi dei doveri che si trovano nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Abbiamo quindi 3 livelli di regole:

a)      regole generali, valevoli per tutti i pubblici dipendenti, indistintamente;

b)      regole che integrano le prime, valevoli sono nelle singole amministrazioni;

c)      regole contrattuali per ogni comparto di contrattazione, valevoli rispettivamente per i dipendenti di ciascun comparto.

Nel concreto, il Codice di comportamento della Funzione Pubblica, già emanato con Decreto Ministeriale del 31 marzo 1994; è stato recentemente sostituito da un Decreto del Ministro per la Funzione Pubblica, firmato il primo dicembre 2000; le regole contrattuali relative al contratto Sanità si trovano nell’articolo 28 del CCNL del 1995, ancora in vigore per questa parte; pochissime amministrazioni, a quanto risulta, hanno varato un proprio codice integrativo di comportamento.

La privacy e il segreto nell'esercizio professionale.

Il segreto d’ufficio è un dovere particolarmente delicato ed importante anche perché esso, nel nostro caso di lavoratori che operano in un ambito delicato coma la Sanità, si collega fortemente al dovere di tutelare la riservatezza (privacy) della persona ricoverata, ai sensi della nota e così detta “legge sulla privacy”, n. 675 del 1996.

Il dovere del segreto è previsto, per i dipendenti pubblici, dal contratto collettivo e da una specifica norma di legge, l’articolo 28 della legge n. 241 del 1990, che ha sostituito l’articolo 15 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 3 del 1957: “L’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o in conclusione, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell’ambito delle proprie attribuzioni, l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall’ordinamento.”.

Come si può constatare, si tratta di una norma che ha prevalentemente di vista le attività burocratiche ma che si riferisce sostanzialmente anche ai dipendenti che svolgono attività materiali, non burocratiche (che il linguaggio del diritto amministrativo chiama “operazioni amministrative”).

Il segreto professionale in generale trova poi specifica tutela nel codice penale, all'articolo 622 (Rivelazione di segreto professionale), che punisce la rivelazione del segreto professionale senza giusta causa o l'impiego dello stesso a proprio o altrui profitto.

Abbiamo detto che il dovere del segreto si connette al dovere di tutelare la riservatezza (privacy) della persona ricoverata, ai sensi della legge sulla privacy. E peraltro tanto la violazione del segreto d’ufficio che quella della riservatezza possono comportare anche sanzioni penali. È quindi opportuno parlare anche della legge sulla privacy. La legge 675 del 31 dicembre 1996, nota appunto come "legge sulla privacy", attua una direttiva europea, volta a garantire che la raccolta, la registrazione, l’elaborazione, la comunicazione e la diffusione dei dati delle persone (definiti dalla legge con l’unico termine di “trattamenti dei dati”) da parte di enti pubblici e soggetti privati, avvenga nel rispetto della dignità delle persone, con particolare riferimento alla riservatezza ed alla identità personale.

·        Le definizioni della legge

L'articolo 1 della legge riporta tutte le necessarie definizioni:

Art. 1.

Finalità e definizioni.

1.      La presente legge garantisce che il trattamento dei dati personali  si  svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali,  nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all'identità personale; garantisce altresì i diritti delle persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione. 

2.      Ai fini della presente legge si intende:

a)      per <<banca di dati>>, qualsiasi complesso di dati personali, ripartito in una o più unità dislocate in uno o più siti, organizzato secondo una pluralità di criteri determinati tali da facilitarne il trattamento; 

b)      per <<trattamento>>, qualunque operazione o complesso di operazioni, svolti con o senza l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione, la modificazione, la   selezione,  l'estrazione,  il  raffronto,  l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati;  

c)      per <<dato personale>>, qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o  identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi  altra  informazione,  ivi  compreso  un  numero  di identificazione personale;  

d)      per <<titolare>>, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono le decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del trattamento di dati personali, ivi compreso il profilo della sicurezza;  

e)      per <<responsabile>>, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali;  

f)       per <<interessato>>, la persona fisica, la persona giuridica, l'ente o l'associazione cui si riferiscono i dati personali;  

g)      per <<comunicazione>>, il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione;  

h)      per <<diffusione>>, il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione; 

i)        per <<dato anonimo>>, il dato che in origine, o a seguito di trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato o identificabile;  

l)        per <<blocco>>, la conservazione di dati personali con sospensione temporanea di ogni altra operazione del trattamento;  

m)    per <<Garante>>, l'autorità istituita ai sensi dell'articolo 30. Per "trattamento dei dati personali" deve intendersi la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione e la distruzione dei dati personali.

Della figura del Responsabile e dell'incaricato dei dati parla il successivo articolo 8:

Art. 8.

Responsabile.

1.      Il responsabile, se designato, deve essere nominato tra soggetti che per esperienza, capacità ed affidabilità forniscano idonea garanzia del pieno rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento, ivi compreso il profilo relativo alla sicurezza. 

2.      Il  responsabile procede al trattamento attenendosi alle istruzioni impartite dal titolare il quale, anche tramite verifiche periodiche, vigila sulla puntuale osservanza delle disposizioni di cui al comma 1 e delle proprie istruzioni. 

3.      Ove necessario per esigenze organizzative, possono essere designati responsabili più soggetti, anche mediante suddivisione di compiti. 

4.      I compiti affidati al responsabile devono essere analiticamente specificati per iscritto. 

5.      Gli incaricati del trattamento devono elaborare i dati personali ai quali hanno accesso attenendosi alle istruzioni del titolare o del responsabile.

Nella realtà sanitaria, potrebbero essere:

Titolare l'Azienda e chi la rappresenta o anche, in qualità di contitolare, il presidio o le direzioni sanitaria ed amministrativa;

Responsabile, il dirigente con funzioni di direzione ed organizzazione della struttura cui è preposto;

Incaricato il professionista che tratta i dati, personali e sensibili, per porre in essere prestazioni sanitarie: vale a dire, i medici, gli infermieri, le ostetriche e gli altri professionisti individuati dal responsabile, dal quale riceveranno apposite istruzioni.

·        I tipi di dati trattati

La legge 675/1996 ha suddiviso le informazioni sulle persone fisiche in due categorie:

dati personali, che sono tutte le informazioni che consentono l'identificazione della persona sia direttamente (es. dati anagrafici) sia indirettamente (es. immagini, registrazioni audio e video, ecc.);

dati sensibili (articolo 22, comma 1 della legge 675/1996), che riguardano la sfera di intimità della persona: razza, religione, sesso, politica, salute).

·        Informativa e consenso

L'articolo 10 della legge 675/1996 prevede l'obbligo del titolare di fornire all'interessato informazioni, scritte o orali sul trattamento dei dati che lo riguardano, per consentirgli l'esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti. L'interessato deve dare in modo espresso e formale il consenso al trattamento dei dati. Nei casi d'urgenza informativa e consenso possono intervenire dopo la richiesta di prestazione mentre nei casi in cui l'interessato sia impossibilitato a prestare il consenso, questo può essere prestato da un congiunto o convivente o da chi esercita la potestà (Decreto Legislativo 282 del 30 luglio 1999).

·        L’infermiere e il trattamento dei dati.

·        L’infermiere, al pari di altri professionisti non medici, è legittimamente autorizzato a trattare i dati personali e i dati sensibili della persona alla quale eroga assistenza, sulla base dei presupposti normativi di seguito indicati.

·        L’infermiere viene "incaricato" del trattamento dei dati personali, ai sensi degli articoli 8 e 19 delle legge 675/1996.

·        L’infermiere, in qualità di "esercente una professione sanitaria (legge 42/1999), può trattare i dati personali sensibili senza l'autorizzazione del Garante e limitatamente ai dati ed alle operazioni indispensabili per il perseguimento di finalità di tutela dell'incolumità fisica e della salute della persona assistita, ai sensi dell'articolo 23 della legge 675/1996.

·        L’infermiere, in quanto "incaricata/o di pubblico servizio" ai sensi dell'articolo 326 del codice penale, può trattare i dati personali della persona assistita per lo svolgimento di finalità istituzionali, ai sensi dell'articolo 27 della legge 675/1996. Sempre come "incaricato di pubblico servizio" è anche tenuta/o al rispetto del segreto d'ufficio in virtù della possibilità di acquisire notizie durante l'espletamento delle proprie funzioni. Nel rapporto di natura professionale con la persona assistita, è tenuta/o al rispetto del "segreto professionale" ai sensi dell'articolo 622 del codice penale.

·        Come devono essere trattati i dati personali

·        In modo lecito e secondo correttezza (articolo 9 della legge 675/1996), nel rispetto della normativa e della dignità della persona, per scopi determinati, espliciti;

·        in modo che siano raccolti solo i dati essenziali per svolgere le attività istituzionali che non possono essere adempiute mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di diversa natura (articolo 3, comma 1 del Decreto Legislativo 135/1999); ciò significa che L’infermiere deve dichiarare alla persona interessata gli scopi per i quali raccoglie le informazioni;

·        in modo che siano sempre esatti e, se necessario, aggiornati; è nel diritto dell'interessato pretendere ed ottenere l'aggiornamento, la rettifica o l'integrazione dei dati (articolo 13, comma 1, punto 3 della legge 675/1996).

·        Come devono essere conservati i dati

·        La conservazione dei dati deve avvenire in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato solo fino a quando serve; per cui, dopo la dimissione eventuali trattamenti dovranno avvenire in forma anonima (es. a fini statistici e di ricerca);

·        va inoltre eseguita con estrema cura nei reparti o negli archivi; nel caso di dati su archivi informatici, deve essere prevista una password (procedura d’accesso) per ogni incaricato al trattamento dei dati; i dati sensibili (salute e sesso) devono essere conservati separatamente e opportunamente cifrati o codificati, in modo da consentire l'identificazione degli interessati nei soli casi di necessità.

·        Comunicazione e diffusione dei dati personali

La legge 675/1996 definisce

La comunicazione come "il dare conoscenza dei dati personali ad uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione (articolo 1, comma 2, lettera g);

La diffusione come "il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione".

·        La comunicazione

La comunicazione può avvenire solo con il consenso scritto dell'interessato (articolo 19 legge 675/1996). Il personale ostetrico può comunicare dati personali a terzi, nell'ambito della salvaguardia dell'incolumità fisica e della salute della persona, per fini istituzionali e in qualità di incaricati.

Comunicazione a familiari e conoscenti dell'interessato. Il Garante ha stabilito che è consentito comunicare la presenza dell'interessato in ospedale (se e dove è ricoverato), salvo suo preventivo ed esplicito dissenso (così anche la Carta dei Servizi Sanitari). Un limite a questo tipo di informazione potrebbe sussistere rispetto all'indicazione della struttura di degenza se in questo modo si possa risalire al problema di salute dell'interessato. È per esempio il caso delle malattie infettive o di altri reparti specialistici medico chirurgici, dove sia relativamente semplice risalire alla diagnosi di ingresso. Non è poi contrario allo spirito della legge comunicare informazioni relative alla presenza dell'interessato in ospedale, per telefono.

·        Divieti di comunicazione.

Restano in ogni caso in vigore il divieto di comunicare i dati personali relativi

·        Alla donna che non riconosce il proprio figlio (legge del 1939)

·        Alla persona HIV positiva e affetta da sindrome immunodeficitaria (legge 135/1990)

·        Alla persona vittima di violenza sessuale (articolo 734 bis del codice penale)

·        Alla donna che si è sottoposta ad interruzione di gravidanza (legge 194/1978)

·        È inoltre vietato comunicare a terzi (siano essi anche familiari) i dati personali sensibili, salvo che l'interessato non abbia preventivamente espresso il proprio consenso scritto.

·        Diffusione dei dati personali

La diffusione dei dati personali è consentita alle stesse condizioni disciplinate per la comunicazione (articolo 20 della legge 675/1996). È vietata la diffusione dei dati sensibili relativi alla salute, salvo nel caso in cui sia necessaria per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati (articolo 23, comma 4 della legge 675/1996).

Altri comportamenti vietati, correlati alla comunicazione o alla diffusione dei dati sensibili

Non vanno più utilizzate le schede posizionate ai piedi del letto dell'interessato, sulle quali vengono annotati dati di carattere sanitario; diversamente si commette un reato.

Non vanno assolutamente abbandonate in giro le cartelle cliniche e non vanno fatte circolare affidandole a personale ausiliario ma, ove possibile, nelle mani dell'interessato o degli incaricati allo scopo designati.

·        Comunicazione dei dati sanitari all'interessato

L'articolo 23, comma 2 della legge 675/1996, dice che "i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute possono essere resi noti all'interessato solo per il tramite di un medico designato dall'interessato o dal titolare". Questa disposizione molto rigida è stata poi rettificata dal Decreto Legislativo 135/1999 laddove in via generale ha stabilito che il trattamento dei dati sanitari è oggetto dei codici deontologici delle professioni sanitarie (articolo 17, comma 3). Pertanto, in linea di principio l'interessato potrà ricevere informazioni di carattere sanitario anche da altri professionisti sanitari, purchè siano strettamente inerenti lo specifico campo disciplinare della professione esercitata.

Come detto poco sopra, vale la pena ribadire che è vietato comunicare a terzi (siano essi anche familiari) i dati personali sensibili, salvo che l'interessato non abbia preventivamente espresso il proprio consenso scritto.

 

La responsabilità civile, penale ed amministrativa.

Dalla violazione dei propri doveri può derivare una responsabilità a carico del dipendente. Abbiamo detto che le regole sulla responsabilità risiedono nella Costituzione, in altre norme e nei contratti.

·        L’articolo 28 della Costituzione dice che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici”.

·        L’articolo 59 del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 (riforma del pubblico impiego), prevede che per i dipendenti pubblici “resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile …. .”.

·        Gli articoli da 18 a 30 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 3 del 1957 (Statuto degli impiegati civili dello Stato) si occupano in modo più preciso della responsabilità del dipendente pubblico verso l’amministrazione e verso altri soggetti ad essa estranei (i terzi).

·        I contratti collettivi nazionali di lavoro descrivono i casi di responsabilità disciplinare e le relative sanzioni.

Dalle norme sopra citate si evince che il dipendente pubblico può essere soggetto a tre tipi di responsabilità: civile, penale ed amministrativa.

1) La responsabilità civile si ha quando il dipendente, esercitando le proprie funzioni, causa ad altri un danno ingiusto. In questo caso tanto il dipendente, quanto l’amministrazione, sono obbligati a risarcire il danno; se paga l’amministrazione, dovrà poi rivalersi sul dipendente.

Bisogna però dire che non in tutti i casi scatta l’obbligo di risarcire il danno, ma solo quando il danno provocato dal dipendente derivi dal suo comportamento doloso o gravemente colposo. Il comportamento doloso si ha quando il dipendente ha voluto il comportamento illegale posto in essere; il comportamento colposo si ha quando il dipendente ha agito con imprudenza, negligenza, imperizia non ammissibile. La gravità della colpa si collega al grado di imprudenza, negligenza, imperizia dimostrate nella concreta circostanza, alla rilevanza degli obblighi o dei diritti violati, alla posizione di lavoro dal medesimo occupata, alla entità del danno provocato.

2) La responsabilità penale sorge quando il dipendente commette reati a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. È comunque penalmente responsabile il dipendente che commette reato per disposizione di un superiore, in quanto la legge vieta espressamente al dipendente di eseguire l’ordine contrario alla legge penale.

È noto che gran parte delle norme penali sono descritte nel codice penale; una parte di questo codice è specificamente dedicata ai reati commessi da chi è pubblico dipendente ed esercita una pubblica funzione (il codice parla di pubblici ufficiali e di incaricati di pubblico servizio).

Tra i reati di cui si sente più parlare vi sono il peculato, la concussione, la corruzione, l’abuso di ufficio, la rivelazione di segreti d’ufficio, il rifiuto di atti di ufficio, l’interruzione di pubblico servizio.

3) La responsabilità amministrativa è quella che sorge nei confronti della pubblica amministrazione e si articola nelle due forme della responsabilità disciplinare e della responsabilità contabile.

La responsabilità disciplinare.

Abbiamo in precedenza parlato dei doveri del pubblico dipendente, descritti nel codice di comportamento e nei contratti collettivi nazionali di lavoro. La violazione dei doveri determina la responsabilità disciplinare, con la conseguente apertura di un procedimento disciplinare che, generalmente, si conclude con l’inflizione di una sanzione disciplinare.

Anche le sanzioni disciplinari sono previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro; in particolare, sono previsti cinque tipi di sanzione, collegate alla diversa importanza e gravità delle infrazioni commesse; esaminiamole brevemente.

1.      Il rimprovero verbale. È una sanzione minima, per trasgressioni di modestissima entità;

2.      Il rimprovero scritto. È una dichiarazione scritta di biasimo per trasgressioni di lieve entità.

3.      La multa. È una sanzione pecuniaria, di importo non superiore a quattro ore di stipendio.

4.      La sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad un massimo di dieci giorni. È una sanzione che comporta l’allontanamento dal lavoro e la perdita dello stipendio per massimo dieci giorni.

5.      Il licenziamento. È la sanzione più grave e può essere con o senza preavviso; essa interrompe e chiude il rapporto di lavoro.

Nel contratto collettivo sono descritti i casi (le ipotesi di infrazione) di violazione dei doveri che, se si verificano, fanno scattare il procedimento disciplinare; questi casi sono stati divisi in quattro gruppi; il primo gruppo include i casi meno gravi, punibili con le sanzioni meno gravi che vanno dal rimprovero verbale alla multa; e così via, fino ai gruppi di casi più gravi, puniti con il licenziamento. A questo proposito, è allegato a questi appunti uno schema dei quattro gruppi di casi (o ipotesi di infrazione).

Il procedimento disciplinare.

Abbiamo detto che la violazione dei doveri del dipendente comporta la responsabilità disciplinare e l’avvio del procedimento disciplinare, che si svolge secondo queste fasi:

1.      contestazione degli addebiti disciplinari da parte dell’ufficio disciplinare dell’azienda;

2.      convocazione scritta del lavoratore incolpato, per la difesa;

3.      decisione disciplinare, che può essere l’inflizione di una sanzione disciplinare o la chiusura del procedimento quando l’ufficio disciplinare ritiene che non vi siano le ragioni per procedere disciplinarmente verso il lavoratore.

Il procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla contestazione degli addebiti, altrimenti si estingue.

Il lavoratore sotto procedimento disciplinare ha diritto di vedere e copiare tutti gli atti del procedimento (diritto di accesso) e può farsi difendere anche da un procuratore (avvocato o non ) o da un rappresentante del sindacato al quale è iscritto o, pur non essendo iscritto, conferisce l’incarico di difenderlo.

Una ulteriore forma di responsabilità verso l’amministrazione (responsabilità amministrativa) nasce quando l’amministrazione riceve un danno dal comportamento contrario ai doveri, tenuto dal dipendente: si tratta della così detta “responsabilità per danno erariale”. Da questa responsabilità nasce un procedimento svolto non dall’amministrazione interessata, ma dalla Corte dei Conti.


I diritti del dipendente.

Accanto ai doveri ed alle responsabilità vi sono, naturalmente, una serie di diritti del dipendente, stabiliti sempre dalle norme e dai contratti. Vediamo i principali diritti, partendo da quelli di carattere più generale.

Il diritto allo stipendio. Si tratta di una prestazione periodica in danaro, che la pubblica amministrazione deve al dipendente per il fatto che questi presta il suo lavoro per lei.

Il diritto ai così detti trattamenti economici accessori. Sono sempre prestazioni in danaro ma non periodiche, collegate alla produttività individuale, collettiva (la così detta incentivazione) o allo svolgimento di attività disagiate o pericolose (le così dette indennità).

Il diritto alla funzione. Consiste nel diritto di esercitare le funzioni proprie del profilo professionale posseduto. La riforma del pubblico impiego (Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 56), prevede infatti che il lavoratore deve essere adibito:

·        alle mansioni per le quali è stato assunto;

·        alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale;

·        alle mansioni corrispondenti alla qualifica superiore, purché questa sia stata successivamente conseguita per effetto dello sviluppo professionale, di concorsi o selezioni;

·        alle mansioni immediatamente superiori, nel caso di vacanza del posto in organico o di sostituzione del dipendente assente per motivi diversi dalle ferie, per tempo determinato.

L’assegnazione a mansioni superiori comporta sempre il diritto alla relativa differenza di stipendio. Ma in nessun caso, a differenza che per il privato, l'assegnazione alle mansioni superiori può divenire definitiva; in questo, non c’è stata privatizzazione.

La legge 8 marzo 2000, n. 53 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città".

Con la legge n. 53/2000 sono stati modificate ed aggiornate alcune norme relative alla tutela della maternità, all'assistenza dei portatori di handicap, alle assenze dal lavoro per motivi familiari. La stessa legge ha anche specificato che sono salvaguardate le condizioni di maggior favore eventualmente previste dai contratti collettivi. Tali condizioni riguardano, principalmente, la retribuzione delle assenze.

I diritti legati alla tutela delle lavoratrici madri.

Si tratta della famosa legge n. 1204 del 30 dicembre 1971, modificata ed integrata, come ora detto, dalla legge n. 53/2000. Questa legge prevede, in sintesi:

·        il diritto della lavoratrice madre, di astenersi dal lavoro, obbligatoriamente e facoltativamente, prima e dopo il parto, entro certi limiti di tempo, con diritto alla conservazione del posto ed allo stipendio in tutto o in parte; la legge n. 53/2000 ha, fra l'altro, esteso il diritto di astensione facoltativa ad entrambi i genitori e sino all'ottavo anno di vita del bambino;

·        il diritto alla conservazione delle ferie non godute;

·        il diritto a non essere licenziata, dall’inizio della gestazione e fino alla fine del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro dopo il parto;

·        il diritto a non essere adibita a lavori pesanti, pericolosi od insalubri durante la gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto.

Diritti di assentarsi dal lavoro per varie ragioni.

Sono diritti previsti e regolati, per lo più, dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Si tratta dei permessi retribuiti (per partecipare a concorsi, esami, corsi, per lutto, per matrimonio, ecc.); dei permessi brevi, delle assenze per malattia e delle aspettative, del diritto alla conservazione del posto ed allo stipendio per malattie od infortuni sul lavoro, ecc.

Di particolare rilevanza sociale il diritto ai permessi mensili (3 giorni il mese) per assistere persone portatrici di handicap (si tratta della nota legge n. 104 del 1992 sulla tutela degli handicap).

Da menzionare anche il così detto diritto allo studio, disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 395 del 1988; si tratta di permessi retribuiti che la pubblica amministrazione può concedere, per un massimo di 150 ore l’anno, per la frequenza di corsi universitari, post universitari o scolastici e di qualificazione professionale; di rilievo, poi, il diritto alla formazione previsto dalla legge n. 53/2000 in complessivi 11 mesi nell'arco della vita lavorativa del dipendente.

Il diritto di sciopero e i diritti sindacali.

È noto che a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si applica anche a quest’ultimo lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970). L’articolo 28 dello Statuto estende al pubblico impiego la tutela giurisdizionale (possibilità di ricorrere al giudice) del libero esercizio dell’attività sindacale e del diritto di sciopero. I sindacati possono infatti ricorrere al giudice contro l’eventuale comportamento antisindacale del datore di lavoro pubblico.

Lo Statuto dei lavoratori ha anche importato nella pubblica amministrazione ulteriori diritti collegati alla libertà individuale e sindacale del lavoratore: la libertà di opinione, il diritto di associazione e di attività sindacale e i diritti collegati (di assemblea, di affissione, a permessi retribuiti e non, ecc.); diritti che sono stati meglio specificati nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Per quanto riguarda, in particolare, il diritto di sciopero, si tratta di un diritto previsto dalla Costituzione (articolo 40) e attualmente regolamentato con la legge n. 146 del 1990.

Questa legge ha dettato le regole per rendere l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, compatibile con i diritti fondamentali di tutti i cittadini, tutelati dalla Costituzione, tra i quali anche il diritto alla salute.

A questo fine le pubbliche amministrazioni concordano con i sindacati e le associazioni degli utenti le prestazioni indispensabili che devono comunque essere assicurate in caso di sciopero; prevedendo, di conseguenza, obblighi di preavviso dello sciopero e di preventiva informazione all’utenza.

Sono infine previste sanzioni per chi non rispetta la legge.


I diritti dei cittadini e la legge regionale n. 27 del 20 maggio 1987.

Una vera e propria valanga di regole, soprattutto nell’ultimo decennio, ha posto l’attenzione sul cittadino utente, come individuo e come componente di organizzazioni di cittadini e utenti.

Questo fatto è in linea con il grande processo di riforma della pubblica amministrazione, praticamente avviato nell’ultimo decennio, con l’obiettivo di rendere la pubblica amministrazione più efficiente ed orientata ai bisogni del cittadino utente, sino al suo coinvolgimento nelle attività dell’amministrazione.

Esaminiamo i principali momenti di questo processo di riforma.

Innanzitutto, la famosa legge n. 241 del 1990, che ha stabilito e regolato il diritto dei cittadini di vedere i documenti della pubblica amministrazione (diritto di accesso) e di partecipare, come singoli o come associati, ai procedimenti amministrativi di loro interesse, fino a poter fare accordi con la pubblica amministrazioni, che prendono il posto dei provvedimenti della stessa.

Le Carte dei servizi pubblici. Nel 1994 venne approvata una direttiva del governo che obbligava i gestori dei servizi pubblici a adottare una propria “Carta dei servizi”, a tutela dei diritti degli utenti; una tutela intesa non solo come riconoscimento di garanzie per il cittadino, ma come attribuzione allo stesso del potere di controllare direttamente la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.

La Carta dei servizi sanitari. Nel 1995 venne adottata la “Carta dei servizi sanitari” (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 19 maggio 1995) che dette delle regole generali di riferimento per le “Carte dei servizi aziendali”. Questa Carta indicò anche le iniziative che le aziende sanitarie dovevano adottare per favorire “l’interazione tra ente pubblico erogatore di servizi ed utenza”, fra le quali l’adozione di un “regolamento dei diritti e dei doveri dell’utente malato”, secondo lo schema riportato nella stessa Carta ed allegato a questi appunti.

La Carta riportava inoltre diversi altri allegati, relativi a schemi di opuscoli e di schede informative per l’utente, sulla struttura ospedaliera e sul reparto; e relativi a questionari sulla soddisfazione dell’utente.

 

Gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico (URP).

La riforma del pubblico impiego (Decreto Legislativo n. 29 del 1993) ne parla in uno specifico articolo, il 12, e li descrive come un vero e proprio canale di comunicazione con i cittadini, che deve assicurare:

·        i diritti di partecipazione di cui alla citata legge n. 241 del 1990;

·        l’informazione all’utenza sui procedimenti amministrativi;

·        l’attuazione di iniziative di comunicazione che servano a far conoscere ai cittadini le norme, le strutture ed i servizi erogati;

·        la promozione di iniziative per migliorare i servizi per il pubblico, la semplificazione delle procedure ed il miglioramento delle modalità del diritto di vedere e fare copia (diritto di accesso) dei documenti della pubblica amministrazione.

Lo stesso articolo prevede anche che di questi uffici facciano parte persone specificamente qualificate e formate e con specifica attitudine ai rapporti con il pubblico.

La partecipazione e la tutela dei cittadini nella riforma sanitaria.

A questa materia la riforma sanitaria vigente dedica un intero articolo, il 14, che si intitola appunto “Diritti dei cittadini”. Questo articolo, ispirandosi in parte anche alla Carta dei servizi sanitari, prevede fra l’atro che:

A)    le regioni

·        verifichino lo stato di attuazione dei diritti dei cittadini;

·        promuovano consultazioni con i cittadini, singoli o organizzati, con i sindacati, con il volontariato, per raccogliere informazioni sull’organizzazione dei servizi;

·        devono comunque sentire questi soggetti in fase di programmazione e verifica dei risultati conseguiti e in fase di discussione di provvedimenti sull’organizzazione dei servizi;

·        promuovano, in particolare, forme di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini e del volontariato impegnato in sanità, nelle attività relative alla programmazione, al controllo ed alla valutazione dei servizi sanitari a livello regionale, aziendale e distrettuale;

·        determinino le modalità della presenza del volontariato presso le aziende sanitarie.

B) Le USL e le Aziende Ospedaliere

·        stipulino accordi e protocolli con gli organismi di volontariato e tutela dei diritti, per stabilire le modalità della loro collaborazione;

·        concordino con gli stessi organismi, programmi comuni per l’adeguamento delle strutture e delle prestazioni alle esigenze dei cittadini;

·        diano vita ad un’efficace informazione ai cittadini sulle prestazioni erogate, sulle relative tariffe e sulle modalità di accesso;

·        facciano procedure di raccolta dei reclami e di gestione dei disservizi;

·        promuovano la formazione del personale a contatto con il pubblico, sull’argomento della tutela dei diritti dei cittadini.

Come si vede, l’attenzione delle regole verso i diritti e la partecipazione dei cittadini è ampia, articolata e concreta. È evidente il salto di qualità rispetto alla riforma sanitaria del 1978, che più genericamente riconosceva alle sole associazioni di volontariato la possibilità di “concorrere ai fini istituzionali del SSN” attraverso la stipula di apposite convenzioni con le USL, nell’ambito delle leggi e della programmazione regionale (articoli 1 e 45).

La legge regionale 20 maggio 1987, n. 27.

Questa legge regionale è il frutto della collaborazione con le associazioni di volontariato e del Tribunale per i diritti del Malato in particolare ed è molto importante perché dà per la prima volta ai diritti dell’utente la dignità della legge, che vincola le USL.

Vediamo i passaggi principali di questa legge.

·        Obbligo degli operatori di tenere comportamenti che non inducano in stato di soggezione l’utente;

·        obbligo degli operatori di portare i cartellini di riconoscimento;

·        diritti degli utenti – pazienti:

·        a ricevere le informazioni essenziali sui servizi e quelle relative allo stato di salute, alla diagnosi, alla terapia, alla prevedibile durata della degenza, agli eventuali trasferimenti in altri presidi;

·        a esprimere il preventivo consenso sui trattamenti e sugli interventi;

·        a ricevere le visite negli orari stabiliti, che devono essere compatibili con le consuetudini di vita;

·        a riunirsi per discutere dei problemi che riguardano la loro condizione di ricoverati;

·        a ricevere rispetto per il pudore e la riservatezza;

·        a ricevere rispetto per le esigenze del minore ricoverato, facilitando la presenza dei genitori nella assistenza dei figli ricoverati e fornendo loro costanti informazioni sullo stato di salute, sugli atti cui i figli saranno sottoposti e sul loro significato.

 

Considerazione finale.

Come abbiamo visto, il quadro dei diritti dei cittadini utenti è attualmente complesso e frammentato in una pluralità di fonti e meccanismi, peraltro non sempre attuali; il che non ne rende facile l’attuazione e la conoscenza da parte dei cittadini stessi e, soprattutto, da parte degli operatori chiamati al loro rispetto.

È quindi auspicabile una riorganizzazione di queste regole, confidando, nel frattempo, sulla sensibilità, sulla deontologia e sull’etica professionale degli operatori delle nostre organizzazioni.


Carta dei Servizi Sanitari - Allegato 7

Regolamento dei diritti e dei doveri dell'Utente malato

 

I DIRITTI

 

Art. 1

Il paziente ha diritto di essere assistito e curato con premura ed attenzione, nel rispetto della dignità umana e delle proprie convinzioni filosofiche e religiose

 

Art. 2

In particolare, durante la degenza ospedaliera ha diritto ad essere sempre individuato con il proprio nome e cognome anziché, secondo una prassi che non deve essere più tollerata, col numero o col nome della propria malattia

            Ha, altresì, diritto di essere interpellato con la particella pronominale "Lei".

 

Art. 3

Il paziente ha diritto di ottenere dalla struttura sanitaria informazioni relative alle prestazioni dalla stessa erogate , alle modalità di accesso ed alle relative competenze.

Lo stesso ha il diritto di poter identificare immediatamente le persone che lo hanno in cura.

 

Art. 4

Il paziente ha diritto di ottenere dal sanitario che lo cura informazioni complete e comprensibili in merito alla diagnosi della malattia, alla terapia proposta e alla relativa prognosi.

 

Art. 5

In particolare, salvo i casi di urgenza nei quali il ritardo possa comportare pericolo per la salute, il paziente ha diritto di ricevere le notizie che gli permettano di esprimere un consenso effettivamente informato prima di essere sottoposto a terapie od interventi; le dette informazioni debbono concernere anche i possibili rischi o disagi conseguenti al trattamento.

Ove il sanitario raggiunga il motivato convincimento dell'inopportunità dr una informazione diretta, la stessa dovrà essere fornita, salvo espresso diniego del paziente, ai familiari o a coloro che esercitano potestà tutoria.

 

Art. 6

Il paziente ha, altresì, diritto di essere informato sulla possibilità di indagini e trattamenti alternativi, anche se eseguibili in altre strutture.

 

Ove il paziente non sia in grado di determinarsi autonomamente le stesse informazioni dovranno essere fornite alle persone di cui all'articolo precedente.

 


Art. 7

 

Il paziente ha diritto di ottenere che i dati relativi alla propria malattia ed ogni altra circostanza che lo riguardi, rimangano segreti.

 

Art. 8

 

Il paziente ha diritto di proporre reclami che debbono essere sollecitamente esaminati, ed essere tempestivamente informato sull'esito degli stessi

 

I DOVERI

 

1)                  Il cittadino malato, quando accede in una struttura sanitaria della USL è invitato ad avere un comportamento responsabile in ogni momento, nel rispetto e nella comprensione dei diritti degli altri malati, con la volontà di collaborare con il personale medico, infermieristico, tecnico e con la direzione' della sede sanitaria in cui si trova.

 

2)                  L'accesso in ospedale o in un'altra struttura sanitaria esprime da parte del cittadino-paziente un rapporto di fiducia e di rispetto verso il personale sanitario, presupposto indispensabile per l'impostazione di un corretto programma terapeutico e assistenziale.

 

3)                  E' dovere di ogni paziente informare tempestivamente i sanitari sulla propria intenzione di rinunciare, secondo la propria volontà', a cure e prestazioni sanitarie programmate affinché possano essere evitati sprechi di tempi e risorse.

 

4)                  Il cittadino è tenuto al rispetto degli ambienti, delle attrezzature e degli arredi che si trovano all'interno della struttura ospedaliera, ritenendo gli stessi patrimonio di tutti e quindi anche propri.

 

5)                  Chiunque si trovi in una struttura sanitaria della USL (ospedale, poliambulatorio ecc..) è chiamato al rispetto degli orari delle visite stabiliti dalla Direzione Sanitaria, al fine di permettere lo svolgimento della normale attività assistenziale terapeutica e favorire la quiete il riposo degli altri pazienti. Si ricorda inoltre che per motivi igienico sanitari e per il rispetto degli altri degenti presenti nella stanza ospedaliera. è indispensabile evitare l'affollamento intorno al letto.

 

6)                  Per motivi di sicurezza igienico-sanitari nei confronti dei bambini si sconsigliano le visite in ospedale dei minori di anni dodici. Situazioni eccezionali di particolare risvolto emotivo potranno essere prese in considerazione rivolgendosi al personale medico del reparto.

 

7)               In situazione di particolare necessità le visite al degente, al di fuori dell'orario prestabilito, dovranno essere autorizzate con permesso scritto rilasciato dal primario o da persona da lui delegata. In tal caso il familiare autorizzato dovrà uniformarsi alle regole del reparto ed avere un rispetto consono all'ambiente ospedaliero, favorendo al contempo la massima collaborazione con gli operatori sanitari.

 

8)                  Nella considerazione di essere parte di una comunità è opportuno evitare qualsiasi comportamento che possa creare situazioni di disturbo o disagio agli altri degenti (rumori, luci accese, radioline con volume alto, ecc.)

 

9)                  E' dovere rispettare il riposo sia giornaliero che notturno degli altri degenti. Per coloro che desiderino svolgere eventuali attività ricreative sono disponibili le sale soggiorno ubicate all'interno di ogni reparto.

 

10)              In ospedale è vietato fumare. il rispetto di tale disposizione è un atto di accettazione della presenza degli altri e un sano personale stile di vivere nella struttura ospedaliera.

 

11)              L'organizzazione e gli orari previsti nella struttura sanitaria nella quale si accede, devono essere rispettati in ogni circostanza. Le prestazioni sanitarie richieste in tempi e modi non corretti determinano un notevole disservizio per tutta l'utenza.

 

12)              E' opportuno che i pazienti ed i visitatori si spostino all'interno della Struttura ospedaliera utilizzando i percorsi riservati ad essi, raggiungendo direttamente le sedi di loro stretto interesse.

 

13)              Il personale sanitario, per quanto di competenza, è invitato a far rispettare le norme enunciate per il buon andamento del reparto ed il benessere del cittadino malato.

 

14)              Il cittadino ha diritto ad una corretta informazione sull'organizzazione della struttura sanitaria, ma è anche un suo preciso dovere informarsi nei tempi e nelle sedi opportune.


Legge  26  febbraio 1999, n. 42 (in Gazz. Uff., 2 marzo 1999, n. 50).

 

Disposizioni in materia di professioni sanitarie.

Legge 10 agosto 2000, n. 251

"Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonchè della professione ostetrica"

(Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 208 del 6 settembre 2000)